Cosa resta della Legge 40?
Il pronunciamento della Corte costituzionale dello scorso anno ha reso possibile il ricorso alla diagnosi preimpianto
Nell’aprile del 2009, la Corte costituzionale si pronunciò sulla Legge 40 per la fecondazione assistita dichiarando incostituzionali alcuni passaggi della normativa e dei suoi regolamenti applicativi, come il divieto di effettuare le diagnosi preimpianto e il limite di «un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore ai tre embrioni». Il pronunciamento della Corte ha semplificato, almeno in parte, il percorso per le coppie impossibilitate ad avere un figlio a causa della sterilità o di gravi patologie genetiche ereditarie. In Toscana, per esempio, una donna ha potuto fare da poco una diagnosi preimpianto (PGD) per superare l’ostacolo di una malattia ereditaria che porta alla morte dei figli maschi entro il loro primo mese di vita.
La PGD non è più vietata in Italia grazie alla Consulta, e a un precedente pronunciamento del TAR del Lazio, e può aiutare molte coppie desiderose di concepire un figlio. La tecnica prevede una prima fase di procreazione medicalmente assistita: in pratica, in clinica si provvede al recupero degli ovociti dalla madre e alla fertilizzazione degli stessi in laboratorio con gli spermatozoi paterni. L’ovocita fecondato inizia la sua “evoluzione” diventando embrione in pochi giorni ed è proprio in questa fase di sviluppo che vengono prelevate una o due cellule per le analisi. Il DNA delle cellule viene analizzato per verificare se l’embrione è affetto o meno dalla malattia genetica. Gli embrioni privi delle tracce genetiche che possono far sviluppare la patologia vengono poi impiantati nell’utero per l’avvio della gravidanza.
Nel medesimo periodo in cui è giunto il pronunciamento della Corte costituzionale, la donna del caso raccontato oggi da Repubblica Firenze ha deciso di rivolgersi a un centro convenzionato con il servizio pubblico per sottoporsi alla diagnosi preimpianto. Il trattamento che evidenzia gli embrioni non malati ha dato buoni risultati e ora la donna è alla sua undicesima settimana di gravidanza.
La donna ha 31 anni e lavora come avvocato. Vive in Puglia. Oltre alla malattia del metabolismo, lei e il marito dopo aver fatto una bimba sana e dopo la morte del secondo figlio, hanno avuto problemi di fertilità. «Il 5 febbraio scorso sono stata visitata dalla dottoressa Livi. Ho fatto tutti gli esami, poi la stimolazione. Non è un cammino semplice, anzi dal punto di vista fisico è stato piuttosto pesante. Ma per un figlio queste cose si sopportano. E poi io volevo una bambina sana. Sono stata accolta in maniera stupenda, come una di famiglia». Ad analizzare le cellule degli embrioni, per scoprire se erano portatori della stessa malattia della madre, è stato il laboratorio Genoma di Roma. A dirigerlo è Francesco Fiorentino: «Voglio sottolineare che a differenza con altri centri con cui collaboriamo, quello fiorentino è convenzionato, cioè le coppie non pagano. Altrove il costo è anche di 7.500 euro. Finalmente possiamo fare la diagnosi sull’embrione. Non capisco chi è contrario: questa pratica è sempre meglio di un successivo aborto».
La notizia per le coppie che vogliono avere un figlio è positiva, ma solo parzialmente. La Legge 40 in alcuni passaggi è ambigua e difficile da interpretare, anche a causa dei regolamenti poco chiari per la sua attuazione, e la costellazione di sentenze emesse sulla norma negli ultimi tempi ha complicato ulteriormente il quadro, come spiega Claudia Livi, il direttore sanitario del centro cui si è rivolta Maria:
«Ad oggi la diagnosi preimpianto può essere richiesta solo dalle coppie che hanno problemi di infertilità, perché l’accesso alle tecniche di procreazione assistita è consentito solo a chi è sterile. Questo ce lo dice la legge ma le ultime sentenze, come quella pronunciata di recente a Salerno, dicono anche che la diagnosi preimpianto è indicata anche per coppie che non hanno problemi di fertilità ma di malattie genetiche ereditarie».