Pomigliano senza plebiscito: e ora?
I sì sono arrivati a quota 62,2% e alcuni sindacati temono che la società possa fare qualche passo indietro sul piano di rilancio della produzione
Per decidere sullo stabilimento Fiat di Pomigliano, Sergio Marchionne aveva chiesto la più alta partecipazione possibile dei lavoratori e così è stato, affluenza intorno al 95%, ma è mancato il risultato plebiscitario. I voti a favore del piano per il rilancio della fabbrica sono stati il 62,2%, dunque circa un lavoratore su tre ha espresso la propria contrarietà per l’accordo. La Fiom chiede ora “una mediazione che rispetti la costituzione, le leggi dello stato e il contratto”. Gli altri sindacati vogliono chiudere, spiega Repubblica:
C’è poi l’altro fronte dei sindacati con la Fim e la Uilm in primo luogo, che se da un lato si dicono soddisfatte del successo ottenuto, dall’altro chiedono alla Fiat di ratificare presto l’accordo e, quindi, di tener fede agli impegni. Saranno quindi giorni altrettanto decisivi quelli che seguiranno al referendum di ieri.
Sergio Marchionne mirava a un risultato solido della consultazione sindacale per avere sufficienti certezze in vista del dichiarato investimento da 700 milioni di euro per il complesso industriale. A preoccupare l’AD di Fiat negli ultimi giorni sono state le dichiarazioni dei rappresentanti Fiom che, in più di una occasione, hanno ventilato l’ipotesi di avviare ricorsi e azioni legali per impedire l’intesa. Sono almeno due gli oggetti del contendere, dice il Foglio:
Due le parti dell’accordo che suscitano la contrarietà della Fiom: l’azienda si riserva di non retribuire i primi tre giorni di assenteismo anomalo e uno sciopero che violi i punti dell’accordo è sanzionabile economicamente. A dar manforte alle tute blu della Cgil è giunto ieri un appello dei “giuristi democratici”: l’intesa rappresenta “un grave attacco ai diritti e alla salute dei lavoratori”.
Molti sindacalisti temono che il modello proposto dalla Fiat a Pomigliano possa essere in futuro esportato negli altri stabilimenti italiani del gruppo dove potrebbe essere riportata la produzione: «Per riportarla in Italia e farla stare nei costi riducono i diritti dei lavoratori: è il gioco delle tre carte. Deve essere chiaro che le condizioni proposte a Pomigliano non vanno bene a Pomigliano e non andranno bene neppure a Mirafiori» spiega Giorgio Airaudo, segretario piemontese della Fiom.
A inquietare i sindacati ci sono anche le tabelle con i ritmi di produzione. Al momento il confronto con l’estero fa presagire la richiesta di un aumento anche negli stabilimenti italiani: l’impianto di Tychy (Polonia) lavora a un ritmo di 100 auto prodotte per addetto e quello di Betim (Brasile) si attesta intorno alle 73 vetture; a Pomigliano la media è intorno a 7, a Cassino ci si ferma a 24 e a Mirafiori a 36. Sui tempi di produzione influisce, comunque, la tipologia dei modelli assemblati e la complessità degli stessi.
Le manovre intorno a Pomigliano sono osservate con apprensione dai lavoratori di Tychy, il complesso polacco che produce ogni anno circa 600mila veicoli Fiat. Riportando parte della produzione in Italia, il Lingotto potrebbe ridurre la produzione in Polonia con inevitabili conseguenze per gli operai della fabbrica e dell’indotto. Negli impianti di Tychy, racconta sempre il Foglio, ci lavorano circa settemila persone che nel corso degli ultimi anni non hanno prodotto solamente la Panda, ma anche la nuova 500 per il mercato europeo. Il salario degli operai non supera i 700 euro e la società gode di alcuni benefici concessi dal governo di Varsavia. Non è dunque un caso se anche la politica si occupa del destino di Tychy: le elezioni presidenziali nel paese si avvicinano al ballottaggio e il candidato conservatore Jaroslaw Kaczynski ha promesso di voler fare di tutto per conservare i posti di lavoro nello stabilimento:
Kaczynski ha promesso che Tychy resterà viva, se i polacchi lo eleggeranno presidente. Per riuscire nell’impresa ha intenzione di chiedere l’aiuto dello storico leader di Solidarnosc, Lech Walesa. In Polonia è una grande notizia, dato che i due non si parlano ormai da vent’anni. Kaczynski ha chiuso il primo turno con il 36 per cento dei voti, cinque punti in meno rispetto al rivale, ma potrebbe colmare il distacco al ballottaggio.