Quattro cose che non sappiamo del mondo
Ci sono cose del mondo che non sappiamo, o meglio: che sappiamo di non sapere
Ok, ci sono un sacco di cose che non sappiamo del mondo: molte più di quattro. Però alcune sono strane: non diremmo mai che non le sappiamo, eppure sappiamo di non saperle. Ci siete? Sono cose che sappiamo di non sapere. Nel 2002, interpellato sulla stabilità della situazione in Afghanistan, l’allora ministro della difesa americano Donald Rumsfeld se ne uscì con una frase che generò una montagna di discussioni e polemiche.
“Ci sono cose che sappiamo: cose che sappiamo di sapere. Ci sono cose che sappiamo di non sapere: sappiamo che non le sappiamo. E poi ci sono cose che non sappiamo di non sapere: non sappiamo che non le sappiamo”
Lo massacrarono. E avevano ragione, eh: Rumsfeld era il ministro della difesa della più grande superpotenza mondiale, impegnata in uno sforzo bellico dall’altra parte del pianeta in reazione al più spettacolare e letale attentato terroristico della storia del suo paese. È quindi perfetto il giudizio sintetico che ne dà Wikipedia: fu una dichiarazione elusiva e arrogante, ma diceva una cosa profondamente vera. Ci sono cose che sappiamo di non sapere. Foreign Policy ne mette in fila quattro, quelle che consideriamo meno scontate di altre: ma ce ne sono molte di più.
Non sappiamo quanta gente vive in Libano. Non lo sappiamo perché quando il Libano ha fatto l’ultimo censimento nazionale era ancora il 1932: era una colonia francese. C’è una ragione per cui non se ne sono fatti più: quando il Libano divenne indipendente, nel 1943, cristiani e musulmani si divisero il potere – e i seggi parlamentari – sulla base di una proporzione 6-5, basata sui risultati del censimento del 1932. Da quel momento, però, ci sono ragioni e prove evidenti per considerare enormemente cresciuto il numero della popolazione musulmana sciita, e notevolmente ridotto il numero dei cristiani: che però mantengono ancora la metà dei seggi parlamentari. Un nuovo censimento minerebbe le fondamenta di uno stato già molto instabile, quindi i libanesi preferiscono continuare a non sapere quanti sono.
Non sappiamo quanto petrolio viene estratto in Nigeria. È strano, no? Non è che non sappiamo quanto ce n’è sottoterra: non sappiamo quanto ne tirano fuori. La stessa società pubblica nigeriana che si occupa delle estrazioni ammette di non riuscire a garantire “la precisione al cento per cento”: e parliamo di uno stato il cui ottanta per cento delle entrate è garantito dalla vendita del petrolio. Com’è possibile? Il settore petrolifero nigeriano è corrotto fino all’osso: corruzione che produce assenza di responsabilità, assenza di responsabilità che produce ignoranza. Diverse società private estraggono più di quanto dichiarano – e più di quanto potrebbero – per sfuggire alla tassazione. Le rivolte nelle zone del paese più ricche di petrolio hanno fatto il resto: all’inizio degli anni Novanta centinaia di migliaia di barili sono semplicemente scomparsi.
Non sappiamo quante testate nucleari ha la Russia. E questa potremmo pure capirla. La cosa strana è che probabilmente non lo sa per certo nemmeno la Russia. Sappiamo due cose: che ne ha quanto nessun altro paese al mondo, e che alcune sono scomparse. Perse. Non si sa chi le abbia. Dopo la fine dell’Unione Sovietica, infatti, tutto l’arsenale nucleare è stato riorganizzato e portato dentro i confini russi: molti analisti pensano sia praticamente certo che alcune testate si siano perse durante la transizione.
Non sappiamo quanta gente ha ucciso il terremoto ad Haiti. Le stime sono svariate, dal trecentomila del presidente Préval al “molto sotto centomila” di un’agenzia di stampa olandese. La verità è che nessuno ne ha la più pallida idea. Che il conto delle vittime oscilli nelle prime settimane dopo la catastrofe è naturale. Il fatto che ad Haiti sia ancora incerto si deve alla debolezza del governo, che ha poche risorse, poca documentazione e scarso controllo del territorio. Quindi ci si è concentrati sulla protezione dei sopravvissuti, mentre i corpi dei cadaveri venivano accatastati e rimossi senza operare riconoscimenti e creare fascicoli, archivi. Alcuni cittadini hanno accusato il governo di voler gonfiare deliberatamente il numero delle vittime per attrarre più soldi dall’estero.