A quali condizioni
Perché, a causa del Concordato tra Stato e Chiesa, non sarà affatto facile indagare sul cardinale Sepe
Come sappiamo, il cardinale Crescenzio Sepe – arcivescovo di Napoli e già prefetto della congregazione Propaganda Fide – è indagato dalla procura di Perugia insieme all’ex ministro Pietro Lunardi. Le accuse sono concorso in corruzione e corruzione aggravata, e fanno riferimento all’inchiesta “Grandi eventi”: il cardinale Sepe è stato menzionato negli interrogatori di Guido Bertolaso, che aveva spiegato di aver avuto una casa di via Giulia a Roma attraverso il cardinale, che dapprima lo aveva ospitato in un collegio universitario di Propaganda Fide. L’architetto Zampolini, “ufficiale pagatore” dell’imprenditore Diego Anemone, ai pm di Perugia poco prima aveva rivelato che a pagare l’affitto della casa in via Giulia era lo stesso Anemone. Lunardi ha poi dichiarato in un’intervista che quando era ministro Propaganda Fide gli ha offerto gratis per quattordici mesi un appartamento romano che gli ha poi venduto a metà prezzo (secondo Lunardi: secondo altre stime, un quarto).
E quindi la procura di Perugia ha diffuso un avviso di garanzia nei confronti di Crescenzio Sepe, che si è detto subito disposto a collaborare con la giustizia italiana. Poi però è arrivata una nota del Vaticano che, pur ribadendo la disponibilità alla collaborazione, ha rimesso le cose al loro posto. Vi si legge che:
«Auspichiamo tutti e abbiamo fiducia che la situazione venga chiarita pienamente e rapidamente, così da eliminare ombre, sia sulla sua persona, sia su istituzioni ecclesiali. Il cardinale Sepe, come ha già detto egli stesso, collaborerà ovviamente per parte sua a questo chiarimento. Naturalmente bisognerà tenere anche conto degli aspetti procedurali e dei profili giurisdizionali impliciti nei corretti rapporti fra Santa Sede e Italia, che siano eventualmente connessi a questa vicenda»
Il riferimento esplicito è alle norme che regolano i rapporti tra Stato e Chiesa, che rendono di fatto l’indagine su Sepe un campo minato. Questo ha alcune conseguenze ben precise, che il Corriere della Sera fa riassumere al professore Enrico Vitali, docente di Diritto ecclesiastico e canonico all’università Statale di Milano.
«Il significato di quella frase mi pare chiaro. Cioè che ora l’autorità giudiziaria italiana deve informare ufficialmente la Segreteria di Stato della Santa Sede che si sta iniziando un procedimento contro un alto ecclesiastico. Non c’entra la Conferenza Episcopale. Parliamo di un arcivescovo nonché cardinale… l’unica sua autorità superiore è il Pontefice, quindi l’interlocutore è la Segreteria di Stato»
Il resto lo si può facilmente dedurre da una semplice lettura del testo del Concordato, nella sua ultima revisione del 1984. Nessuno obbliga Sepe a presentarsi agli interrogatori e rispondere ai magistrati, visto che – articolo 4, punto 4 – “gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o su materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero”. Inoltre, Sepe potrebbe sostenere che all’epoca dei fatti contestati non era arcivescovo di Napoli ma prefetto di Propaganda Fide.
«L’articolo 15 del Concordato del 1929, tuttora vigente, attribuisce a quel palazzo le stesse immunità che si riconoscono, secondo il diritto internazionale, agli agenti diplomatici di Stati esteri. E quindi, sempre in teoria, potrebbe sostenere che quanto possa essere avvenuto tra quelle mura è di assoluta e totale pertinenza dello Stato Vaticano e non riguarda minimamente la Repubblica Italiana»
Il passaporto vaticano di Sepe, infatti, gli garantisce l’immunità diplomatica. Inviolabilità personale, inviolabilità domiciliare, immunità dalla giurisdizione civile e penale. In breve: Sepe non può essere fermato, perquisito o arrestato. Con l’eccezione dei crimini internazionali, non può essere perseguito per gli atti commessi nell’esercizio delle sue funzioni, la cui responsabilità ricade sul Vaticano. Le indagini sull’arcivescovo di Napoli sembrano destinate a infrangersi lì.