Quest’uomo è abusivo
La storia di Giuseppe Drago, parlamentare UDC condannato all'interdizione dai pubblici uffici
di Francesco Costa
Questa storia comincia con un paio di lenzuola. Siamo nel 1998, in Sicilia. Il presidente della giunta regionale è Giuseppe Drago, democristiano del CCD. Nello stesso periodo, nel parlamento nazionale, un movimento politico guidato da Francesco Cossiga, l’UDR, è determinante per la formazione di un nuovo governo, presieduto da Massimo D’Alema. In Sicilia accade qualcosa di simile: l’UDR si sgancia dal centrodestra, toglie la maggioranza a Giuseppe Drago e fa cadere la giunta. Al suo posto si insedia il diessino Angelo Capodicasa.
Eravamo rimasti alle lenzuola. Capodicasa si insedia e prende possesso degli appartamenti riservati al presidente della regione. Chiede di comprare delle lenzuola nuove, gli rispondono che la regione gli mette a disposizione un fondo per le “spese riservate”: non più di duecento mila euro per l’intera legislatura. Solo che quando gli impiegati della regione vanno per attingere al fondo – per comprare le lenzuola, appunto – non trovano nulla. Niente. Non trovano nemmeno ricevute o documentazioni delle spese effettuate: i soldi semplicemente non ci sono. Parte un’inchiesta nei confronti dell’ex presidente della regione, Giuseppe Drago: che fine hanno fatto i soldi? Drago dice di averli spesi secondo le modalità previste dalla legge, e i suoi avvocati sostengono che non fosse tenuto a produrre alcuna documentazione in merito: nessun obbligo di rendiconto. La magistratura la penserà diversamente, e nel 2003 Giuseppe Drago sarà condannato in primo grado a tre anni e otto mesi di reclusione e alla restituzione di 123mila euro. La condanna viene confermata sia in appello che in cassazione, la sentenza definitiva arriva nel 2009: Giuseppe Drago è colpevole di peculato per essersi appropriato di fondi riservati della regione. Insieme alla restituzione del denaro e alla reclusione – poi condonata – scatta anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, che la corte d’appello di Palermo – investita dalla cassazione – farà diventare interdizione temporanea.
Intanto, dal 2003 al 2009 la carriera politica di Giuseppe Drago non si è affatto fermata. Anzi. Drago ha fatto il deputato dal 2001 al 2006, e ha fatto anche parte del governo: prima come sottosegretario alla difesa e poi come sottosegretario agli esteri: malgrado fosse stato già condannato in primo grado. Alle politiche del 2006 è stato rieletto alla Camera, sempre nelle liste dell’UDC. La stessa cosa accade nel 2008: eletto alla camera nella circoscrizione Sicilia 2. Insomma: l’UDC ha candidato e portato in parlamento per tre volte un politico sul quale pendeva non solo una condanna per appropriazione di fondi della regione, ma anche l’interdizione dai pubblici uffici. Come-se-niente-fosse.
Nel 2009 la condanna è diventata definitiva, e l’incompatibilità di Giuseppe Drago con l’incarico di parlamentare è diventata ufficiale: dovrebbe essere operativa. La legge italiana in questi casi non prevede però alcun automatismo: prevede che la giunta parlamentare delle elezioni esamini il caso e decida col voto come procedere. Il principio che guida la norma è quello della separazione dei poteri e della sovranità del parlamento: un pilastro di ogni democrazia, che diventa però sempre più faticoso difendere quando viene prestato e distorto per le più vergognose delle difese corporative. C’è una sentenza, ma se nessuno la fa applicare è come se non ci fosse stata. La giunta delle elezioni tarda a riunirsi per esaminare il caso di Giuseppe Drago, mentre i mesi passano e Drago non pensa nemmeno un secondo a lasciare l’incarico di sua spontanea volontà, dando le dimissioni.
La giunta delle elezioni si riunisce finalmente tre mesi fa, il 17 marzo del 2010, e il verbale è illuminante: da mostrare nelle scuole nell’ora di educazione civica sul funzionamento delle istituzioni. La seduta dura in tutto dieci minuti. Il deputato del PDL Orsini solleva il caso Drago e propone ai membri della giunta di deliberare l’acquisizione degli “elementi documentali ed informativi necessari per una compiuta valutazione in sede istruttoria della posizione del deputato Drago”. Chiedere alla corte d’appello di Palermo la copia della sentenza di condanna del 2006; chiedere alla cassazione copia della sentenza del 2009, che ha reso definitiva la condanna; chiedere alla procura generale di Palermo l’indicazione della data di decorrenza dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici. Documenti che possono arrivare in un’ora in corso di seduta, con un fax. Ma la strumentale consuetudine è questa: tutti sono d’accordo, la seduta è tolta. In sostanza, la giunta delle elezioni prende tempo chiedendo che le siano inviate delle carte che sono pubbliche da mesi, in alcuni casi da anni, e il cui contenuto è noto e stranoto – interdizione dai pubblici uffici, incompatibilità con l’incarico di parlamentare. E le chiede senza nessuna urgenza o indicazione di scadenza, infischiandosene dei giusti tempi di applicazione di una sentenza e della corretta composizione del Parlamento. E intanto Drago – che sostiene l’interdizione sia eccessiva – continua a fare il deputato come se nulla fosse: vota, prende la parola, propone, discute. Abusivamente, aspettando che l’interdizione finisca, insieme a questa seccatura.