Se prima eravamo in dodici
Berlusconi sarebbe prossimo a nominare un nuovo ministro, Aldo Brancher
Dovevano essere dodici, in tutto: non uno di più. Lo disse in tv, Berlusconi, negli ultimi giorni di campagna elettorale. “Nel governo del Popolo della libertà ci saranno 12 ministri, e 4 di questi saranno donne”. Col passare dei mesi, quella quota è stata ignorata e travolta: i ministri sono diventati tredici, quattordici, quindici, sedici. Oggi sono – tenetevi forte – ventitré. Quasi il doppio della cifra promessa in campagna elettorale. E poi ci sono anche gli undici (undici) sottosegretari alla presidenza del consiglio.
Insomma, un bel numerone – e un numerone destinato a crescere ancora. Lo scrive il Corriere della Sera di oggi, secondo il quale “salvo ripensamenti Silvio Berlusconi annuncerà oggi stesso un progetto a sorpresa, col quale conta di rafforzare l’azione del governo e cementare l’alleanza strategica con Umberto Bossi”. Il “progetto a sorpresa” sarebbe la nomina di Aldo Brancher a ministro. Ma non a ministro dello sviluppo economico, come si era detto ieri, in sostituzione del dimissionario Scajola. Brancher avrebbe un ministero tutto suo, e sentite qua: ministro per l’attuazione del federalismo.
Una mossa con la quale l’inquilino di Palazzo Chigi conta di placare le ansie della Lega, che dopo i tagli della manovra agli enti locali teme di vedere azzoppato il suo cavallo di battaglia. […] La sua nomina alla guida del federalismo che verrà sarebbe gradita a Bossi quanto a Tremonti e Berlusconi potrebbe contare, per quel ruolo chiave, su uno degli uomini a lui più vicini, uno dei pochi che hanno libero accesso, pressoché in ogni momento, nelle stanze presidenziali di Palazzo Chigi e Palazzo Grazioli. Unica incognita, la reazione dei finiani.
Siamo oltre la moltiplicazione delle cariche: siamo alla duplicazione. Perché Brancher sarebbe “ministro per l’attuazione del federalismo” in un governo che ha già, nelle persone di Umberto Bossi e Gianfranco Rotondi, un “ministro delle riforme per il federalismo” e un “ministro per l’attuazione del programma di governo”.
Bisogna tagliare il “peso dello Stato”, dicono i membri del governo Berlusconi, per risanare i conti del paese. Abbiamo capito cosa intende il centrodestra per “peso dello Stato”: la scuola, la ricerca, il welfare, l’università, gli stipendi, le pensioni. Altrettanto chiari sono i capitoli di spesa che il centrodestra non toccherà, nonostante siano quelli da cui hanno cominciato a tagliare i governi del resto d’Europa, anche quelli di destra: le spese militari, per esempio. Oppure la cosiddetta semplificazione, i tagli agli sprechi. L’eliminazione delle province sbandierata in campagna elettorale è stata al centro di un balletto ridicolo. Qualora l’indiscrezione del Corriere della Sera si rivelasse fondata, anche il taglio delle poltrone e dei costi della politica – solo ieri Berlusconi ha ribadito di voler “dimezzare la popolazione di coloro che vivono di sola politica” – si dimostrerebbe una volta di più una barzelletta.