Kirghizistan, prime ipotesi sui responsabili
La situazione sembra calmarsi, ma ora si vuole capire chi abbia organizzato la persecuzione
La situazione in Kirghizistan si è in parte calmata. L’esercito pattuglia le strade di Osh, tra edifici e auto distrutte, cercando di mantenere l’ordine, a una settimana dall’inizio degli scontri etnici che si sono trasformati in una persecuzione della minoranza uzbeka. Finora Reuters riporta 187 morti (quasi tutti uzbeki), 2.000 feriti e circa 100.000 profughi che sono scappati o stanno cercando di scappare in Uzbekistan. Gli uzbeki lo chiamano genocidio: i Guardian riporta le parole degli uzbeki, che oltre ai morti negli scontri a fuoco raccontano di omicidi indiscriminati di donne e bambini, stupri e incendi appiccati nelle loro case.
Nelle prime ore di venerdì scorso, le comunicazioni da parte del governo ad interim kirghiso — in carica dopo la fuga dell’ex presidente Kurmanbek Bakiyev al termine della rivolta di aprile — erano confuse, e non si riusciva a stabilire quali fossero le cause della nascita dello scontro: le tensioni tra kirghisi e uzbeki sono di lunga data, ma nessuno aveva chiaro perché questa nuova persecuzione, la più grave nella storia, fosse nata proprio giovedì notte. Inizialmente pareva la causa fosse stata una rissa spontanea in un casinò, che sarebbe poi degenerata. Poi si è cominciato a pensare a una premeditazione e, come scrive il Guardian, il governo ad interim ha chiesto l’arresto di Maxim Bakiyev, il figlio dell’ex presidente ora in Gran Bretagna, ritenuto responsabile di aver organizzato gli scontri. I due Bakiyev, sia il padre che il figlio, hanno negato le accuse.
Anche l’ONU si è schierata con il governo kirghiso. Ieri, attraverso le parole del portavoce Rupert Colville, l’ONU ha dichiarato di credere fortemente che gli scontri non siano stati spontanei ma premeditati e organizzati. Pur limitandosi a dire che sarebbero partiti da “gruppi ombra esterni”, sembra chiaro che il riferimento fosse alla famiglia dell’ex presidente Bakiyev.
Il New York Times riferisce invece le testimonianze di molti uzbeki, che raccontano un’altra ipotesi: secondo loro dietro la persecuzione ci sarebbe l’esercito kirghiso. Clifford Levy, il giornalista del quotidiano, scrive di aver intervistato diversi uzbeki — tutti separatamente — e di aver trovato sempre le stesse risposte, con gli stessi dettagli. In sintesi: l’esercito non li avrebbe difesi, ma talvolta anche attaccati. Più di uno di loro ricorda distintamente di aver visto gli uomini in uniforme ridere e festeggiare nelle strade durante il massacro degli uzbeki, in fuga verso il confine. Halisa Abdurazakova, una dottoressa uzbeka, racconta come l’esercito abbia sgombrato la strada davanti a casa sua — che era stata bloccata dagli stessi uzbeki — per permettere agli uomini armati di attaccarli.
Il leader degli uzbeki a Osh, Jalal Salakhutdinov, chiede l’intervento delle forze di pace internazionali, anche per investigare su chi abbia pianificato la persecuzione. I primi aiuti sono iniziati ad arrivare, ma nei prossimi giorni l’ONU ha previsto l’invio di una quantità ingente di cibo, acqua, coperte e tende. Intanto il Segretario di Stato Hillary Clinton ha assicurato al governo kirghiso l’appoggio degli Stati Uniti. 10,3 milioni di dollari sono già stati versati per aiuti sul breve e medio periodo.