Per tentare di non finire sommerso anche lui
Questa notte Obama ha rivolto il suo primo discorso alla nazione dallo Studio Ovale
Ieri sera – notte fonda, in Italia – il presidente statunitense Barack Obama ha rivolto il suo primo discorso alla nazione dallo Studio Ovale. Il tema era la perdita di petrolio al largo del golfo del Messico, a cinquantasei giorni dall’esplosione sulla Deepwater Horizon. Il tono è stato il solito, sobrio e pacato, ma la scenografia e le parole erano quelle proprie di una dichiarazione di guerra – infatti Obama ha parlato di “piano di battaglia”, “assalto alle nostre coste”. Il New York Times ha notato come Obama abbia usato “lo stesso spirito e lo stesso linguaggio usato dai suoi predecessori quando annunciavano l’invio di truppe all’estero”.
Per otto settimane, la perdita è sembrata in qualche modo troppo grande e troppo complessa, mentre il presidente tentava di contenerla e mostrare allo stesso tempo leadership, rabbia ed empatia. Non è ancora chiaro se il discorso di ieri rappresenterà un evento capace di cambiare il corso di questa crisi politica.
Il punto è che fino a questo momento Obama ha messo in campo praticamente tutti gli strumenti a sua disposizione: ha imposto una moratoria sulle trivellazioni in profondità, è andato tre o quattro volte in Louisiana, ha fatto dimettere il direttore di un’importante agenzia governativa e ha nominato un’apposita commissione, ha scelto una persona che si occuperà del recupero delle cose da qui in avanti e ha chiesto che la BP paghi per il danno provocato fino all’ultimo centesimo. E intanto la perdita lo indebolisce, ancora.
Non restava che il discorso dallo Studio Ovale, quindi: il primo della sua presidenza e non è un caso. I discorsi dallo Studio Ovale non sono una passeggiata. George W. Bush non si trovava a suo agio. Altri presidenti ne hanno fatti ma molto brevi. Quello di Obama è durato diciotto minuti, quasi un record. Specie perché non sono state annunciate nuove misure – d’altra parte, quali? – per fermare la perdita di petrolio né particolari novità nella gestione della crisi, fatta eccezione per la nomina del segretario della marina Ray Mabus come supervisore e responsabile generale dell’area del golfo. Diciotto minuti, quindi, per dimostrare essenzialmente una cosa: che Obama ha ancora in mano la situazione. E per rilanciare le proposte sull’energia della sua amministrazione.
Proposte che vanno oltre la gestione dell’immediato e approfittano della crisi in corso per sottolineare quanto sia importante una legislazione sull’energia e il cambiamento climatico: un tentativo di trasformare questo grosso guaio in un’arma politica. Obama ha chiesto agli americani di “approfittare di questo momento” e “mettere fine alla secolare dipendenza dell’America dalle fonti fossili”. “La tragedia che sta avvenendo sulle nostre cose è il più potente e doloroso dei promemoria: ci ricorda che è arrivato il momento di avere energia pulita: questo è il momento, questa è la generazione che dovrà affrontare la missione nazionale. Liberare l’innovazione degli Stati Uniti e riprendere in mano il controllo del nostro destino”.
Come nell’ormai consueto copione della sua presidenza, le critiche a Obama sono arrivate da destra e da sinistra. I repubblicani, che fino al giorno primo lo accusavano di non essere abbastanza duro, adesso lo accusano di voler capitalizzare la crisi. Gli ambientalisti pensano da settimane che la reazione di Obama alla crisi sia state troppo timido nei confronti della BP.
Tra qualche giorno sapremo se questo discorso ha aiutato la presidenza a cambiare un po’ l’orientamento dell’opinione pubblica. Come ricorda il New York Times, Obama è riuscito più volte a uscire dall’angolo grazie a discorsi particolarmente efficaci: dal discorso “A more perfect union” durante la campagna elettorale al discorso al congresso quando la riforma sanitaria sembrava destinata ad affondare. “When in trouble, go big” – “Quando sei nei casini, fa’ qualcosa di grande” – era uno dei motti dello staff di Obama durante la campagna. Ci ha riprovato.