“Essere vegetariani mangiando cioccomerdate”
Più le nostre conoscenze sul mondo animale progrediscono più dobbiamo contemperare la nostra morale a ciò che sappiamo su di essi, soprattutto quando scopriamo che somigliano a noi
di Sara Porro
E insomma, Dissapore sembra abbia deciso di ospitare opinioni più plurali in merito alle posizioni vegetariane/vegane/flessitariane/cruditariane/meletariane. (Una di queste non è una dieta. Indovinate quale). In breve, riassumo le posizioni del dibbbattito finora. Vi piace la carne? 1) Anche a noi! 2) A noi invece tantissimo. 3) A me al sangue. 4) Al sangue è per le donnette, io la mangio blu. E quindi, per amor di varietà, è il turno di un vegetariano normale. Dove per “normale” si intende un vegetariano inserito nella società, che non ricava lettini dalle scatole di fiammiferi per le blatte che trova in cucina.
Ed è qui che compaio io, che peraltro non sono un ottimo avvocato per le posizioni vegetariane, visto che mangio il pesce, e soprattutto che lo mangio malgré moi, nel senso che penso sia sbagliato. La mia filosofia di riferimento non è basata sui presunti effetti positivi della dieta vegetariana o vegana, anche perché mi nutro prevalentemente di cioccomerdate, per il resto, bensì su di un animalismo di fondo che, con il passare degli anni, avverto sempre più fortemente, seppur insieme a molte contraddizioni. (Lo hanno detto anche Jeremy Rifkin e Carlo Petrini di Slow Food che la vita intelligente “è la vita delle piante con la loro bellezza, la vita degli animali, dei mammiferi che provano sentimenti).
Esempi. Per tre anni sono stata completamente vegetariana, né carne né pesce, ma ho continuato a comprare scarpe di cuoio. Non indosserei mai una pelliccia di cincillà, ma mi farei pochi scrupoli a chiamare la derattizzazione se ci fossero i sorci per casa. Non mi chiedete cosa farei se casa mia fosse invasa dai cincillà, l’area del mio cervello che macina le decisioni morali potrebbe svampare in un momento.
Diciamo che io divido secondo la barriera carne/pesce in gran parte per comodità, nel senso che le mie “simpatie” nel mondo animale sono un po’ più trasversali: lumache! Cercate altrove un fautore dei vostri diritti! Mentre tengo in altissima considerazione il polpo, perché sapete cosa sa fare il polpo? No, oltre a sposarsi perfettamente con le patate lesse e la cipolla di Tropea tagliata spessa, parlavo di un’altra cosa. Sa riconoscere le forme geometriche. Davvero. Non un oggetto specifico, ma una forma geometrica astratta, presentata in diverse forme, colori, dimensioni e posizione nello spazio. Questo lo sapete fare VOI, EH?
Io credo che in molti si convincano che le ragioni delle scelte stanno solo nella nostra cultura, vedi il dibattito il gatto di Beppe Bigazzi sì/il gatto di Beppe Bigazzi no, ma in realtà più le nostre conoscenze sul mondo animale progrediscono più dobbiamo contemperare la nostra morale a ciò che scopriamo su di essi, soprattutto quando la loro somiglianza a noi, per capacità, funzioni e processi, diventa evidente. Perchè allora diventa difficile non provare empatia: e non si tratta (solo) del fatto che molti animali siano “carini e coccolosi” come pinguini del Madagascar, ma, più in sostanza, che li vediamo per quello che sono, evolutivamente: le nostre creature sorelle.
E dunque, io non posso mangiare gli animali che possiedono un livello tale di consapevolezza da associare all’istinto di conservazione anche le emozioni: paura, angoscia, ansia. Questo per me è troppo, me li fa sentire troppo umani, troppo vicini. E voi? Quali ragioni ascoltate, quelle del cuore o quelle della mente? O solo quelle dello stomaco?
Vi avviso che l’ultima opzione fa di voi persone sinistre.