In Belgio domani si vota e si parla di secessione
L'esito elettorale potrebbe sancire un paese spaccato a metà, con sullo sfondo lo spettro di una separazione tra Fiandre e Vallonia
Dopo la caduta del governo lo scorso aprile in seguito al cosiddetto caso BHV – una questione di confini delle circoscrizioni elettorali tra francofoni e fiamminghi – domenica in Belgio ci saranno nuove elezioni.
I risultati delle Fiandre, la regione di lingua fiamminga, si prospettano completamente diversi da quelli della Vallonia, dove si votano le formazioni di lingua francese. A questi si devono poi sommare i voti di Bruxelles, la regione bilingue. Al nord tira un forte vento scissionista: secondo gli ultimi sondaggi il partito autonomista N-Va di Bart De Wever, Nuova alleanza fiamminga, sembra destinato a diventare il primo partito e cerca di rassicurare sul non voler “spaccare il paese”. In Vallonia, invece, i socialisti guidati da Di Rupo avrebbero la vittoria in tasca. Entrambi i partiti dovrebbero però costruire robuste alleanze.
Se le cose resteranno così le elezioni sancirebbero di nuovo un paese spaccato a metà, con sullo sfondo lo scenario di una separazione secessionista. Michele Pignatelli fa un’analisi della situazione nel Sole 24 Ore di oggi:
L’economia non è stata certo il tema principale del dibattito pre-elettorale, oscurata dalle annose dispute linguistiche tra le comunità, ma la crisi spaventa il Belgio, con un debito pubblico che sfiora il 100% del Pil e una disoccupazione che si avvicina ormai al 9 per cento. E preoccupano le Fiandre, sempre più insofferenti nei confronti del sistema solidaristico federale, che le obbliga a pagare il 66% dei servizi socio-assistenziali, secondo uno studio fiammingo. Con ricadute anche sulle imprese.
Non sorprende allora la svolta che si profila nella galassia separatista fiamminga, con i sondaggi che vedono in calo la destra estremista e xenofoba del Vlams Belang – che nel 2007 ottenne il 19% dei voti nelle Fiandre e ad Anversa, nelle amministrative del 2004, superò addirittura il 33% – e in forte ascesa il nazionalismo più ragionato, e forse calcolato, della Nuova alleanza fiamminga (N-Va), accreditata del 25% dei consensi. «Non spaccheremo il paese – ha spiegato martedì alla stampa internazionale il suo leader, Bart De Wever – non vogliamo una rivoluzione, ma una graduale evoluzione verso strutture migliori, che assicurino una più efficiente gestione delle finanze pubbliche».
«Credo che la maggior parte dei fiamminghi non vogliano l’indipendenza», spiega Erik Buyst, professore di Storia economica all’Università di Lovanio, cuore del pensiero fiammingo. «Ma il Belgio francofono, se non vuole una divisione stile Cecoslovacchia a cui non sopravviverebbe economicamente, deve accettare una trattativa per la riforma dello stato, che elimini le sovrapposizioni di responsabilità e accentui la devolution. La riforma è inevitabile, prima di tutto perché il trasferimento di risorse dal nord al sud in atto da 35 anni non ha rilanciato la Vallonia; poi perché l’economia fiamminga non corre più come venti o trenta anni fa: la popolazione invecchia, alcuni settori base (auto, chimica) stanno declinando. In poche parole, le Fiandre per prime devono investire per rilanciarsi e non possono più permettersi di sostenere la Vallonia».
Mercoledì Di Rupo aveva evocato, se di nuovo le trattative tra i rappresentanti delle due comunità dovessero bloccarsi, la possibilità di uno stato vallone con Bruxelles nel giro di tre o cinque anni: avvisando i fiamminghi di non farsi illusioni sulla capitale . Ieri su Le Soir – il primo quotidiano belga – Olivier Mangain del Mouvement Réformateur, secondo partito francofono nei sondaggi, aveva attaccato la presentazione di questa ipotesi come un cedimento verso la sua realizzazione.
“Uscire dalla logica dello stato federale significa mettersi in una condizione di debolezza. Io metto in guardia tutti i partiti francofoni: non negozieremo la secessione nè la confederazione. De Wever deve sapere che se è a quella che mira, se ne assumerà tutta la responsabilità tutto da solo davanti all’opinione pubblica”