Dovremmo uccidere gli uccelli coperti di petrolio?
Continuano gli sforzi dei veterinari per salvare gli uccelli nel golfo, ma gli animalisti sono perplessi
Le immagini degli animali coperti del petrolio al largo del golfo del Messico sono in questo momento il simbolo più evocativo del disastro ambientale provocato dalla perdita di petrolio sulla piattaforma petrolifera della BP. Dietro quelle foto c’è un dilemma che sta occupando i veterinari e gli scienziati impegnati nel golfo, che hanno già recuperato 820 uccelli e 289 tartarughe, molti di questi già morti. Cosa fare con gli animali ancora vivi?
La cosa più ovvia che verrebbe in mente è pulirli e rimetterli in libertà, in un’area pulita e sicura. Secondo alcuni scienziati però non è detto che ne valga la pena, come scrive Newsweek. Il tasso di sopravvivenza in queste circostanze varia da specie a specie. Per esempio, in Sudafrica i pinguini ripuliti dal petrolio e rimessi in libertà hanno vissuto a lungo e bene. Le tartarughe hanno buone speranze di farcela. Quelli che hanno meno possibilità sono gli uccelli: più della metà dei pellicani puliti e rilasciati dopo una perdita di petrolio nel 1990 era morta dopo soltanto un anno, dopo due anni meno del 15 per cento era ancora viva.
Da una parte lo stress che comporta agli animali il trauma dell’essere ricoperti di petrolio e quello della cattura, dall’altra i risultati di diverse ricerche, che mostrano come gli uccelli rimessi in libertà dopo simili vicende muoiono poco dopo. Per questo diversi esperti sostengono che l’eutanasia sia la scelta più umana. “Pulirli e rimetterli in libertà potrebbe farci sentire meglio”, dice Daniel Anderson, ornitologo dell’università della California, “ma è improbabile che faccia sentire meglio gli uccelli, le cui sofferenze invece sarebbero prolungate. Per alcune specie, la cosa più sensata è l’eutanasia. Ma è difficile da fare, per persone che hanno costruito la loro intera vita sulla tutela degli animali”.
In ogni caso, le operazioni di soccorso proseguiranno – fosse anche solo per evitare che vi si cimentino dei principianti, per quanto benintenzionati.
“Senza una risposta organizzata, le persone proverebbero a prendersi cura autonomamente degli animali”, dice Florina Tseng, una veterinaria ed esperta di soccorso agli uccelli. “È già successo tantissime volte. E per quanto siano benintenzionati, non hanno nessuna competenza per prendersi cura degli animali”.
L’opinione di questi veterinari purtroppo è difficile da contestare: soltanto l’uno per cento dei volatili catturati, ripuliti e rilasciati riesce a sopravvivere. Tanto che le stesse organizzazioni per la tutela degli animali – a cominciare dal WWF – hanno simili posizioni: “Gli uccelli ricoperti di petrolio non possono più essere aiutati: per questo siamo molto riluttanti di fronte all’idea di ripulirli”. Anche perché potrebbe essere del tutto inutile: morirebbero del petrolio che hanno ingerito tentando di togliersi il petrolio dalle piume.
La biologa tedesca Silvia Gaus sostiene che non servirebbe a niente nemmeno costringere gli animali a ingerire particolari soluzioni chimiche, come alcuni veterinari stanno facendo in questi giorni. Gli uccelli morirebbero comunque a causa dei danni causati dal petrolio al fegato e ai reni.