Mai gridare H1N1
La Stampa si occupa della polemica sui vaccini per l'H1N1 cercando di capire a chi abbia giovato tanto allarmismo sulla pandemia
Ad alcuni giorni dalla diffusione dell’inchiesta del British Medical Journal sui conflitti d’interesse e le procedure poco trasparenti sulle rilevazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sulla pericolosità del virus H1N1, la Stampa di oggi torna sulla questione con una serie di approfondimenti e interviste.
Andrea Malaguti, corrispondente da Londra, si è messo in contatto con Karl Nicholson, un docente del dipartimento di malattie infettive dell’University Hospital di Leicester che insieme ad altri due ricercatori aveva redatto la documentazione con i consigli per i governi sulla gestione dei vaccini. Tutti e tre gli scienziati avevano avuto stretti rapporti con le industrie farmaceutiche e da qui il sospetto di conflitto d’interesse.
«È vero, ho lavorato per loro [le aziende farmaceutiche Glaxo e Roche che hanno lavorato al vaccino anti-suina, ndr], ma l’ultima volta che ho preso dei soldi dalla Roche è stato nel 2001». Evidentemente infastidito, apparentemente sincero, il direttore del dipartimento di malattie infettive dell’ospedale di Leicester si concede per pochi secondi e liquida la storia con una battuta spigolosa. «La Oms richiede a chi partecipa ai suoi incontri, come è successo a me nel 2002 e nel 2004, di compilare dei documenti che certifichino eventuali conflitti di interessi». Li ha compilati? «Secondo lei?». Il sottotesto è banale: se la Oms fa la radiografia del mio lavoro e lo ritiene compatibile con l’incarico che vuole assegnarmi, devo essere io a farmi da parte?
Secondo Paul Flynn, deputato laburista membro del comitato sulla salute del Consiglio d’Europa, grazie ai conflitti d’interesse le industrie farmaceutiche arrivano ai più alti livelli decisionali. La scarsa trasparenza porta a una distorsione delle priorità nel settore pubblico, a perdite enormi di denaro, alla diffusione di paure ingiustificate tra la popolazione e all’utilizzo di vaccini spesso poco testati e potenzialmente pericolosi per la salute.
Sempre sulla Stampa, Flavia Amabile cerca di tirare le fila delle inchieste e delle polemiche degli ultimi giorni su H1N1, rischio pandemia e utilizzo dei vaccini.
Sono oltre 179 milioni le dosi di vaccini contro l’influenza pandemica che sono state distribuite in Europa e circa 38 milioni le persone effettivamente immunizzate dal virus A/H1N1, è scritto in un rapporto dell’European Medicines Agency (Ema), secondo cui, dunque, gli Stati membri dell’Unione europea hanno utilizzato solo il 20% dei prodotti acquistati durante l’emergenza pandemica dello scorso anno. Il rapporto del Consiglio d’Europa denuncia l’ «enorme spreco di denaro pubblico» e l’avere provocato «timori e allarmi ingiustificati circa i rischi sanitari ai quali poteva essere esposta la popolazione europea».
A livello mondiale, spiega Amabile utilizando i dati di JP Morgan, il giro d’affari della H1N1 ha sfiorato i 7 miliardi di dollari. Solamente in Italia sono state acquistate 12 milioni di dosi per il vaccino al costo unitario di 7,70 euro, quasi 100 milioni di euro di spesa complessiva. Inizialmente si prevedeva di acquistarne altri 11 milioni, di vaccini, ma poi lo Stato si è tirato indietro quando il contagio è rimasto contenuto. Le dosi effettivamente somministrate sono state circa un milione, dunque al momento ogni iniezione ci è costata circa 100 euro. Complessivamente, «ogni cittadino italiano ha pagato 3 euro a testa dal neonato al centenario compreso, per la pandemia che non c’è».
C’è il capitolo degli antivirali. Il ministero – ricostruisce Tom Jefferson – ha reso noto di avere a disposizione 40 milioni di dosi (30 milioni di Tamiflu e 10 di Relenza), pari a 10 milioni di cicli, acquistati dal 2005 in poi e infatti tenuti in gran parte in forma di polvere, pronta a essere confezionata in capsule. Il mandato a confezionarne una parte era stato dato ad aprile all’Istituto chimico farmaceutico militare di Firenze da cui infatti erano stati stoccati e inviati ai centri di riferimento regionali per la distribuzione ad Asl e ospedali. Altri 50 milioni erano stati promessi dalle Regioni. Il ministero non fornisce alcun dato ulteriore ma un calcolo direbbe che il costo di ogni ciclo è pari a 12,5 euro: in tutto, quindi, lo Stato per comprare gli antivirali dovrebbe aver pagato 125 milioni di euro. Non possiamo quantificare, però, il costo della trasformazione da polvere in capsule né quello dello stoccaggio e della distribuzione alle Regioni.
Il ministro della Salute Ferruccio Fazio, intervistato sempre dalla Stampa, la vede diversamente e rivendica quanto fatto dal ministero per prepararsi al peggio nel caso il virus si fosse diffuso rapidamente nel nostro paese.
«Anche oggi che abbiamo un anno di esperienza, non cambierei nulla delle procedure che sono state adottate nel nostro Paese per far fronte al diffondersi del virus dell’influenza A-H1N1. […] Tutti i governi hanno avuto indicazioni molto precise dall’Oms. Il ruolo dell’Oms era questo. Se saranno verificate anomalie questo non riguarda gli Stati che ricevevano queste indicazioni. […] Siamo stati i primi a valutare che non fosse necessaria una doppia vaccinazione. Abbiamo valutato che non fosse necessario vaccinare più del 40% della popolazione. Alla fine abbiamo avuto meno del vaccino richiesto».
L’approfondimento di oggi della Stampa offre nuovi elementi su una vicenda estremamente complicata e dai contorni ancora molto sfumati. Sullo sfondo dei grandi interessi economici e degli affari sui farmaci resta comunque quello che Michele Serra definisce oggi su Repubblica il vero mandante di quanto accaduto: l’isterismo salutista di buona parte degli occidentali.
Pur di impasticcarsi, ospedalizzarsi, sindromizzare ogni aspetto della vita, crearsi sempre nuove dipendenze da farmaco, c’è una marea di persone che è disposta a credere a qualunque spettro. Non sono un esperto, ma credo che l’ipocondria stia diventando una delle malattie più diffuse. Quanto è sana e giudiziosa la medicina preventiva, quanto è perniciosa e stupida quella parodia dell’immortalità che è il salutismo. Le speculazioni e le furbate dell’industria farmaceutica avrebbero molto meno spazio se la clientela non fosse costituita, in larga parte, da pavidi creduloni che evidentemente stanno perdendo ogni rapporto con la realtà materiale del loro corpo, e ne hanno fatto un fragile feticcio per il quale ogni disagio, ogni imperfezione è causa di panico.