Il giudice che difende i pedofili
Weinstein è un giudice che si batte per ridurre le pene nei casi di possesso di immagini pedopornografiche
La questione dei casi di pedofilia nella Chiesa ha riaperto un dibattito che si ripresenta ciclicamente ogni volta che arrivano a processo persone che si sono macchiate di reati molto gravi o comunque socialmente riprovevoli: la loro difesa. Anzi, di più: il fatto che uno stato democratico debba garantire loro il diritto a difendersi, ad avere un avvocato, a chiamare dei testimoni, a usufruire di sconti di pena e di tutti gli strumenti previsti dalla legge per tutelarsi.
Si tratta di un discorso non così distante da quello sul cosiddetto “Miranda warning”, cioè la formuletta che i poliziotti statunitensi recitano a un sospettato nel momento in cui lo arrestano, ricordandogli che ha il diritto di restare in silenzio, avere un avvocato, eccetera eccetera. Che fare con i terroristi?, si è chiesto più di qualcuno negli Stati Uniti. Possono avere informazioni cruciali per salvare centinaia di vite, e la prima cosa che facciamo è dirgli che possono restare in silenzio? La Corte suprema ha tentato di sciogliere questa matassa qualche giorno fa dicendo che gli arrestati hanno il diritto di rimanere in silenzio, ma i poliziotti non hanno l’obbligo di ricordarglielo. Hai dei diritti, ma non saremo noi a ricordartelo: la vecchissima eppure sempre attuale storia dell’applicazione ai cattivi dei diritti messi su carta dai buoni.
Quando poi i cattivi in questione si sono macchiati di reati gravi come quelli che hanno a che fare con la pedofilia, le cose diventano ancora più delicate e complicate. Il New York Times di qualche giorno fa raccontava a questo proposito la storia di Jack B. Weinstein, giudice 88enne dello stato di New York noto per i suoi sforzi contro “la superflua crudeltà della legge”. Sforzi che negli ultimi anni si sono concentrati soprattutto a favore di un imputato, colpevole di possedere una vasta collezione di immagini pedopornografiche.
Ovviamente in giro c’è molta poca simpatia verso i collezionisti di immagini pedopornografiche. Nonostante questo, un numero crescente di giudici federali in giro per il paese li sta tutelando, criticando i cambiamenti alle leggi che negli ultimi dieci anni hanno quadruplicato le pene per questo genere di reati.
All’inizio di maggio la Corte d’appello degli Stati Uniti ha annullato una sentenza a vent’anni di detenzione per possesso di materiale pedopornografico, sostenendo che la legge in vigore “può portare a sentenze irragionevoli” e segnalando che ormai le pene previste per chi possiede materiale pedopornografico spesso sono superiori a quelle di chi è effettivamente colpevole di abusi sessuali su minori.
“Non mi piace la pedopornografia, ovviamente”, ha detto il giudice Weinstein in un’intervista. Ma ha aggiunto di non credere che chi guarda quelle immagini – al contrario di chi le produce e le vende – rappresenti una minaccia per i bambini. “Stiamo distruggendo delle vite senza che sia necessario”, ha detto. “Queste persone andrebbero semplicemente curate e sorvegliate”.
Weinstein è uno dei giudici più rispettati e illustri dell’intera nazione, e il caso di cui si parla è quello di Pietro Polizzi, un uomo sposato padre di cinque figli rivelatosi essere possessore di oltre cinquemila immagini pedopornografiche. La pena raccomandata per questo genere di casi va dagli undici ai quattordici anni. Dopo tre giorni la giuria si espresse e condannò Polizzi. A quel punto il giudice Weinstein intervenne, rompendo il protocollo, chiedendo direttamente ai giurati: se aveste saputo della pena prevista per quella sentenza di condanna, avreste votato allo stesso modo?
Cinque giurati dissero che non reputavano necessario che Polizzi andasse in prigione. Due dissero che avrebbero cambiato idea. Weinstein tenne in piedi solo i capi d’accusa più gravi e ordinò un nuovo processo, condannando Polizzi a un anno di prigione per il possesso delle foto.
Insomma, secondo il giudice Weinstein l’imputato aveva il diritto costituzionale di essere giudicato da una giuria che fosse a conoscenza delle pene conseguenti a una sentenza di colpevolezza. Una tesi già circolata in passato, in altri casi del genere. La Corte d’appello ha indetto il nuovo processo per Polizzi, senza esprimersi però sulla possibilità di mettere a conoscenza la giuria dell’entità delle pene. Intanto Weinstein continua ad affrontare casi del genere, e nonostante tutto a volte si trova costretto ad applicare la pena standard per questi casi: cinque anni di detenzione.
“Si tratta di una crudeltà e di una durezza assolutamente non necessaria, considerate le circostanze. Le corti non hanno alternative, con queste leggi. Queste persone hanno bisogno di cure e di una vita tranquilla fuori dalla prigione. La prigione li indebolirà e basta: non farà niente a proteggere la società, dato che queste persone non rappresentano in alcun modo una minaccia nei confronti dei bambini”