Honduras, il golpe in un film
Esce il documentario che racconta che cosa successe l'anno scorso durante il colpo di stato militare
Il 28 giugno 2009 un gruppo di militari incappucciati fece irruzione nella casa del presidente dell’Honduras Manuel Zelaya Rosales, lo catturò e lo costrinse all’esilio in Costa Rica. Iniziava così il colpo di stato che apriva la strada al regime guidato dall’imprenditore di famiglia bergamasca Roberto Micheletti, esponente del Partito Nazionale. Nelle ore immediatamente successive, organizzazioni popolari, movimenti sociali, sindacati, partiti e cittadini indipendenti si unirono nel Fronte Nazionale Contro il Colpo di Stato e iniziarono a manifestare tutti i giorni per le strade della capitale Tegucigalpa e in tutto il Paese.
Per cinque mesi i due registi Katia Lara (Honduras) e Carlos del Valle (Guatemala) ripesero con una telecamera le violenze contro i manifestanti e la stampa. Più volte furono attaccati dalla polizia, che in due casi riuscì anche a sequestrare le loro telecamere, e a dicembre decisero di lasciare il Paese e rifugiarsi in Argentina. Secondo il Global Post, il loro “Quien Dijo Miedo: Honduras de un golpe” (Chi ha detto paura?) è l’unico documentario al momento in circolazione sul colpo di stato in Honduras. L’uscita ufficiale è prevista per il 7 giugno a Buenos Aires, poi sarà presentato in Bolivia, Cile, Nicaragua, Costa Rica e Stati Uniti. È prevista anche una proiezione in Honduras, ma la data e il luogo saranno rivelati solo all’ultimo minuto per impedire l’intervento repressivo dell’esercito.
Dopo il colpo di stato Micheletti aveva garantito che presto si sarebbero svolte regolari elezioni per riportare il Paese alla normalità, ma le elezioni del 29 novembre dell’anno scorso si sono rivelate in realtà una farsa e i golpisti sono riusciti a far vincere senza problemi il loro pupillo Porfirio Lobo Sosa, che è succeduto a Micheletti alla guida dell’Honduras.
Da allora la repressione continua: il governo Lobo ha nominato Billy Joya (uno dei fondatori delle truppe di élite “Cobra”, veterano ed esponente del battaglione 3-16 creato dalla Cia per perseguire, torturare e far sparire migliaia di honduregni nella “guerra sucia” degli anni Ottanta) come consulente per la Sicurezza Nazionale. E la strategia di terrore e persecuzione contro gli oppositori del golpe ha prodotto altre vittime: dal marzo 2010 sono stati uccisi altri cinque giornalisti.
Dal 28 giugno 2009, il Fronte Nazionale Contro il Colpo di Stato ha contato più di 160 morti tra gli esponenti della società civile uccisi in esecuzioni extragiudiziali per mano di squadroni della morte e paramilitari coordinati dal regime. Molti altri sono stati feriti, arrestati, maltrattati o costretti ad abbandonare casa e lavoro per darsi alla clandestinità, rifugiandosi in montagna o all’estero.
L’ex Presidente Zalaya era riuscito a rientrare in Honduras il 22 settembre 2009 e aveva vissuto rifugiato per oltre quattro mesi nell’Ambasciata Brasiliana, finché il nuovo Presidente Lobo gli ha rilasciato un salvacondotto per abbandonare il Paese e trasferirsi nella Repubblica Dominicana.