«L’Olanda non è un Paese tollerante»
Tra una settimana le elezioni per il parlamento: la crisi economica sta togliendo un po' di spazio alla xenofobia
di Francesca Barca
I Paesi Bassi sono considerati, da tutti i punti di vista, un Paese tra i più avanzati e progressisti al mondo. Eppure, già da qualche anno, lo xenofobo Partito della Libertà di Geert Wilders colleziona successi elettorali, sul piano sia interno che europeo, mentre e la legislazione olandese e sull’immigrazione è tra le più rigide in Europa. L’Olanda è un paese con il 5.6% di popolazione musulmana con un tasso di crescita costante, che vede il suo modello di integrazione e di sviluppo in crisi. Secondo molti Wilders ha semplicemente «liberato» il discorso razzista.
Passeggiando per Amsterdam o per l’Aia li vedi. È una cosa che colpisce l’occhio, più che a Parigi o a Londra. I musulmani in Olanda sono e “sembrano” tanti. Secondo il rapporto di Forum (Institute for multicultural affairs, Netherlands) si stimano, all’inizio del 2009, 907 mila musulmani – il 5,6% della popolazione – la maggior parte turchi o marocchini, e ben 475 moschee. In un paese di 16.200.000 abitanti su una superficie di 41,5 mila chilometri quadrati. Che è un po’ come se in Italia, invece del milione e duecentomila musulmani – stimati dal presidente della Lega Musulmana Mario Scajola – ce ne fossero 3,4 milioni. Se la crescita demografica rimane la stessa, secondo Forum, nel 2050 saranno circa 2 millioni, cioè l’11% della popolazione. L’Olanda è il Paese con la seconda più grande comunità dopo la Francia, dove ci sono cinque milioni di musulmani.
E poi c’è il “caso” Geert Wilders con i suoi discorsi shock e i suoi risultati spettacolari. Alle elezioni europee del 2009 il Partito della Libertà (Pvv) ha ottenuto il 16% dei suffragi, giusto secondo dopo i Cristiano Democratici. Alle amministrative di marzo scorso nelle città dove si è presentato, Almeria (provincia di Amsterdam) e L’Aia, il partito di Wilder ha ottenuto il 21, 6 e il 17,8% dei voti. Se inizialmente le previsioni per le prossime legislative del 9 giugno lo davano in vantaggio, a due settimane dallo scrutinio le cose stanno un po’ cambiando: «Fino a qualche settimana fa l’immigrazione e la sicurezza erano tra i maggior soggetti di discussione. Oggi gli olandesi sono più interessati alla crisi economica, alla disoccupazione, anche in relazione con quello che è successo in Grecia. E su questi argomenti Wilders si è mostrato incapace di presentare un programma», dice Bob Van Den Bos, ex parlamentare del Partito liberale D66, ora deputato europeo. Secondo le ultime proiezioni il Pvv di Wilder starebbe ora in quarta posizione. Anche perché, secondo Van Den Bos, con Wilders il discorso sull’immigrazione si è in qualche modo “liberato” anche per gli altri partiti: «Prima di Wilders nessuno voleva dire a voce alta le cose che lui dice per non essere accusati di discriminazione».
La fine della tolleranza?
Ma che succede quindi in Olanda? Si parla di un Paese conosciuto per la sua apertura e il suo “progressismo”, sul piano sociale e culturale. «Cosa sta succedendo con l’immigrazione? Beh, è vero che in Olanda c’è sempre stata una facciata di tolleranza, ma verso gli stranieri abbiamo sempre avuto una sorta di “irritazione”», dice Abram de Swaan, sociologo, direttore della Scuola di Ricerche Sociali di Amsterdam. L’Olanda è stata meta di migranti: negli anni Cinquanta ha visto arrivare gli italiani, gli spagnoli, i polacchi e i portoghesi. Il grosso dell’immigrazione musulmana è iniziato negli anni Sessanta e Settanta: «All’inizio avevamo dei “guest – worker” che arrivavano dal Marocco e dalla Turchia senza famiglia. Pur essendo musulmani non erano particolarmente praticanti. Quando hanno iniziato a far venire le famiglie credo che sia cominciato un certo risentimento da parte della popolazione », spiega De Swaan. «Guarda che la politica olandese non è mai stata per un’integrazione socio-economica dell’immigrazione negli anni Cinquanta e Sessanta. L’enorme bisogno di manodopera straniera non è andato di pari passo con una politica di integrazione. È stata una politica di “sfruttamento immediato” verso un’immigrazione percepita come provvisoria». A parlare è Licia Brussa, sociologa esperta di immigrazione che vive ad Amsterdam da trent’anni: «E non parlo solo di marocchini o turchi: negli anni Cinquanta gli italiani vivevano nelle baracche, come in Belgio. A un certo punto si è capito che queste persone sarebbero rimaste ma, nel frattempo, c’era già la crisi delle grandi industrie: il tessile era crollato, c’è stata la crisi dei cantieri navali degli anni Settanta… e i primi ad essere colpiti sono stati gli stranieri, con disoccupazione e malattie permanenti. Questo ha creato divario sociale. E intanto nascevano i figli». Come militante per i diritti degli immigrati la Brussa mi dice che le lotte che sono state portate avanti erano su base comunitaria, grazie ad una politica che permetteva alle associazioni di chiedere finanziamenti pubblici: «Per tutto c’era un fondo. E questo, con il senno di poi, non è stato positivo, perché ha portato alla divisione. Si è incrementato un grande meccanismo di assistenza sociale e non di sviluppo reale e di opportunità chiare, con un percorso indirizzato a studi, lavoro ec… ma molto assistenzialista». Questo ancora perché «l’Olanda sembra un Paese tollerante. Ma non lo è. È un Paese che isola. C’è stata una politica del “contentino” in cambio della pace sociale. Il mito della tolleranza olandese è, in realtà, un modello basato sul controllo, che finisce poi per ghettizzare».
Troppo Stato sociale e senso di colpa
La colpa allo Stato sociale quindi? Secondo Abram de Swaan a partire dagli anni Cinquanta il Welfare si è sviluppato attraverso una politica sempre più generosa verso gli operai immigrati, garantendo loro gli stessi diritti degli olandesi. Perciò «molti hanno usufruito di aiuti di ogni genere, soprattuto chi era invalido. Chi avrebbe potuto rifiutare una cosa del genere? Che poi si è rivelata una trappola: spesso queste persone non facevano più niente, perdevano ogni contatto con la società e l’unica occupazione era la moschea. Ecco un effetto perverso dello Stato sociale». De Swaan aggiunge, inoltre, una riflessione sul passato: «C’è sempre stato un pensiero che non si aveva il coraggio di verbalizzare, ma che era presente: ci si diceva che bisognava trattare i musulmani meglio di come avevamo trattato gli ebrei. Questo anche se abbiamo la memoria di una resistenza forte al nazismo le deportazioni ci sono comunque state. Gli olandesi si sentivano colpevoli… Ciò non toglie che li trattavamo con disprezzo e che facevano i lavori peggiori: ma questa è una regola non scritta che si applica a tutti gli ultimi arrivati».
Grazie a Wilders
Tutto questo “double talk”, come lo definische De Swaan, è caduto anche grazie a Wilders e prima di lui a Pim Fortuyn, l’uomo politico dal quale Wilders trae ispirazione, ucciso nel 2002 da un fanatico. Proprio grazie alla propagazione di un discorso violento, il Pvv stesso ha aperto la normalizzazione al dibattito. Secondo De Swaan una destra come il Front National francese in Olanda sarebbe impensabile: lo stesso Wilders è un forte sostenitore, come Fortuyn prima, della causa omosessuale e ha un programma sociale piuttosto di sinistra. «Wilders è l’ultimo di una serie di uomini politici che hanno cercato di creare una destra coerente con un discorso fortemente anti-religioso. Il problema di Wilders è che ha una nozione “essenzialista” della religione». Secondo Bob Van den Bos «Wilders ha avuto successo perché ha toccato un aspetto fondamentale della nostra cultura: siamo un Paese di gente “discreta”, nel senso che nessuno deve essere diverso dal vicino. È molto calvinista come visione. Con l’arrivo di persone di religione diversa, di lingua diversa, e che reclamano il loro diritto alla differenza, ci sono state delle reazioni, che però non riuscivano ad uscire».
Rappresentanzione politica: 2,4%
C’è da aggiungere che le disposizioni sull’immigrazione in Olanda sono particolarmente rigide: dal 2006 è in vigore una legge che limita pesantemente gli accessi al Paese attraverso un test di lingua e una “tassa” di 350 euro a cui va aggiunta una “prova di integrazione” che prevede un esame sulla cultura e i valori del Paese. Sono inoltre stata irrigidite le norme per il ricongiungimento familiare e le richieste di asilo politico. Secondo un sondaggio della televisione olandese Ncrv, pubblicato dal programma Netwerk nel 2009, il 76% dei musulmani olandesi dice di «sentirsi a casa in Olanda», anche se il 57% degli intervistati dice che questo sentimento si è affievolito da quando la propaganda del Pvv si è fatta più forte. Nello stesso tempo due musulmani su cinque tra gli intervistati sostengono che, dall’ascesa di Wilders, hanno subito atti di discriminazione. Uno stupefacente 18% dichiara di essere d’accordo con gli argomenti del Pvv.
Naoual Loiazizi va un po’ in controtendenza da questo punto di vista, almeno secondo le statistiche. La giovane donna fa parte dell’associazione Marokkaanse Vrouwen Vereniging Nederland (Mvvn, Fondazione delle donne marocchine dei Paesi Bassi): è nata in Olanda da genitori marocchini, è laureata e lavora. Loiazizi sostiene che sicuramente c’è una differenza tra immigrati di prima e seconda generazione in termini di apertura, «in generale i figli degli immigrati di seconda generazione hanno un livello di istruzione medio-alto e migliori lavori dei loro genitori. Quindi penso che si sentano pienamente cittadini». Per lei quella di Wilders è solo propaganda: «Politici come Fortuyn e Wilders mi fanno solo sentire più orgogliosa di essere “diversa”, cioè di essereo una donna, una studentessa, una lavoratrice, una marocchina e una musulmana. Non mi sento “più musulmana”, ma più cittadina del mondo». Per lei il fatto che il sindaco di Rotterdam, Ahmed Aboutaleb, sia marocchino è un grande segno di integrazione e successo. Ciò nnonostante, su oltre 9500 persone elette a livello municipale in Olanda ci sono, secondo i dati dell’associazione Forum, solo 163 persone di origine turca e 66 di origine marocchina: il 2,4% del totale.