L’aggressione israeliana: cosa dice Haaretz
Nei commenti sul sito del giornale prevale la paura per quello che succederà ora
Il sito di Haaretz, il quotidiano della sinistra israeliana, è alle prese da stamattina con l’analisi dell’aggressione israeliana alla nave turca Navi Marmara che ha causato un numero di morti tuttora imprecisato: dai dieci ai venti, per quel che si sa. Su ogni valutazione di quel che è avvenuto prevale la paura di quel che avverrà. L’articolo principale la racconta così:
La marina israeliana ha aperto il fuoco contro gli attivisti pro-Palestinesi a bordo di un convoglio di sei navi dirette alla striscia di Gaza uccidendone almeno dieci e ferendone molti altri, dopo che il convoglio si era rifiutato eseguire gli ordini di tornare indietro.
Le autorità israeliane hanno detto che dieci attivisti sono stati uccisi dopo che era stato aperto il fuoco contro i militari che volevano bloccare il convoglio. Stime non ufficiali parlano di un numero di morti tra i 14 e i 20. La tv turca NTV ha riferito di più di 60 feriti, dopo che le forze militari israeliane hanno attaccato le navi in acque internazionali. Un portavoce dell’esercito ha detto che “Risulta che almeno dieci passeggeri siano stati uccisi”. In una dichiarazione ufficiale l’esercito israeliano ha annunciato che “Militari della marina hanno preso il controllo di sei navi che tentavano di violare il blocco navale. Durante l’attacco, i soldati hanno affrontato serie violenze fisiche da parte dei passeggeri, che li hanno aggrediti sparando”
L’articolo prosegue raccontando dettagliatamente tutte le informazioni diffuse sia dall’esercito che dagli organizzatori del convoglio e da altre fonti. Ma sul sito si trovano già i primi commenti. Quello di Amos Harel analizza le conseguenze per Israele dell’azione di stanotte – trascurando in maniera impressionante qualunque valutazione sulla morte di almeno dieci persone – e si intitola: “Dopo il bagno di sangue di lunedì, Israele deve impedire una terza intifada”.
Il danno che Israele ha procurato a se stessa non è quantificabile. Una precedente crisi con la Turchia, scoppiata quest’anno quando Israele aveva umiliato l’ambasciatore turco, scompare al confronto.
Secondo Harel non si può accusare la reazione dei soldati israeliani impegnati nell’azione se sono stati davvero attaccati.
Ma questo non deve occultare il totale fallimento dell’operazione. Non ha raggiunto il suo scopo annunciato: prendere il controllo del convoglio riducendo al minimo le reazioni internazionali.
Con il pragmatismo cinico dei paesi in guerra, Harel accusa vertici militari e politici non di aver condotto un’operazione sbagliata e conclusasi in un bagno di sangue, ma di averla condotta male: e ne ha anche per la pessima gestione delle comunicazioni, che ha permesso che le immagini delle operazioni arrivassero subito alle tv turche e internazionali, mentre da parte israeliana a nessun giornalista era stato concesso di seguirle e raccontarle.
Più disperato è il commento di Bradley Burston, anch’esso dedicato però alle conseguenze dell’azione israeliana per gli sforzi di pace.
In folle marcia da lemming suicidi nelle nostre relazioni con Ankara, una potenza di cruciale importanza nella regione che avrebbe potuto aiutarci a scongiurare una guerra a Gaza, siamo arrivati vicinissmi a dichiarare guerra alla Turchia
Hamas, e anche l’Iran e gli Hezbollah, hanno imparato da tempo che l’embargo israeliano contro Gaza è la più sofisticata e potente arma che possono usare contro lo stato ebraico. Qui in Israele, dobbiamo ancora capirlo. Non stiamo più difendendo Israele. Stiamo difendendo l’assedio di Gaza. E l’assedio sta diventando il nostro Vietnam.