Il Rolling Stone dei videogiochi
È uscito il primo numero di Kill Screen, una rivista che vuole cambiare il modo in cui si parla dei videogiochi
Che i videogiochi non siano solo una faccenda per ragazzini è stato ormai compreso da tutti. Che possano portare cultura, meno. Con l’intento di annullare l’assioma “i videogiocatori non leggono”, è appena uscito il primo numero di Kill Screen, rivista statunitense che vuole dare anche ai videogiochi il diritto di essere trattati come oggetto culturale. Per “fare quello che Rolling Stone ha fatto con il rock e quello che Wired ha fatto con la tecnologia.”
Kill Screen è la naturale conseguenza della maturazione dell’industria videoludica. Lontani dal giovanilismo sensazionalista che si trova qua e là in rete e più accessibili della retorica altezzosa degli accademici, ci avvicineremo al mondo che amiamo tanto da fan quanto da critici. Kill Screen darà voce a una generazione di consumatori che sono cresciuti con i videogiochi e adesso vogliono parlarne, con lo stesso spirito e rancore che si possono trovare nelle discussioni su film, televisione, ecc.
Gli autori vengono dal meglio di stampa e televisione americana: Wall Street Journal, New Yorker, Pitchfork, Variety, Slate, the Daily Show of Jon Stewart, the Colbert Report, the Onion e parecchi altri. Il nome, invece, viene direttamente dai videogiochi: il “kill screen” è — o meglio era — il livello difettoso di un gioco, quello in cui ci si bloccava a causa di un errore nella programmazione. Il più famoso kill screen è il 256esimo di Pac-man.