Se la moneta unica è fallita, allora il dollaro?
Sul sito dell'Economist, un dibattito che dura da settimane ricco di contributi sull'utilità della moneta unica
Nel dibattito costruito dal sito dell’Economist sul destino dell’euro, ricco di dotti e acuti pareri, ieri è intervenuto con una considerazione assai originale ed efficace Barry Eichengreen, professore di Economia e Scienze Politiche a Berkeley dal 1987 oltre che ex consigliere del FMI e un mucchio di altre cose nel curriculum. La paradossale conclusione di Eichengreen è che, ad andar dietro a chi ritiene sbagliata e fallimentare l’idea di una moneta unica per molti stati con economie diverse, il dollaro sarà abbandonato dagli Stati Uniti entro i prossimi dieci anni.
I fatti recenti hanno dimostrato che l’idea dell’unione monetaria è sbagliata alla radice. Gli esperti di economia ne hanno indicato le contraddizioni, ma i politici l’hanno sostenuta per ragioni che non hanno a che fare con l’economia. E ora ne paghiamo il prezzo.
La coesistenza di una valuta unica e di una singola banca centrale con bilanci dello stato separati è una contraddizione fondamentale. L’unione è priva di un meccanismo per coordinare in maniera adeguata questi bilanci. Il risultato è l’indecoroso spettacolo offerto da alcuni stati (California, Nevada) costantemente fuori dalle spese previste nei bilanci mentre altri (West Virginia, Wyoming) vivono entro le loro possibilità. Spesso gli stati con i bilanci in deficit sono quelli con i maggiori tassi di disoccupazione e seri problemi sul fronte della competitività.
Questa condizione così instabile, spiega Eichengreen proseguendo il suo paragone con le analisi sull’euro di queste settimane, è dovuta alla combinazione di diverse cause, ma è stata comunque aggravata dalla presenza di una sola valuta. Mancando il rischio del tasso di cambio, gli stati raccolti nella federazione condividono il medesimo tasso di interesse, cosa che semplifica almeno in parte la possibilità di spendere più del dovuto. In un certo senso, il sistema della moneta unica incoraggia gli amministratori a essere più spregiudicati del dovuto e ad assumere dei rischi sul lato economico che hanno spesso un alto costo per l’intero sistema. Il problema è ulteriormente aggravato dal fatto che gli stati con problemi di debito e deficit si aspettano di essere salvati nei momenti difficili.
Fondamentalmente, il problema con la moneta unica è l’assenza di una adeguata leadership politica a livello dell’unione. I diversi centri di potere non riescono a mettersi d’accordo su come riformare le istituzioni. Quando c’è necessità di un’azione rapida, perdono semplicemente tempo tra di loro, ed è proprio questo a obbligarli a ricorrere alla banca centrale per prendere provvedimenti, minando così alla base l’indipendenza e la credibilità di una delle più potenti istituzioni.
Almeno in linea teorica, crisi economica e intoppi finanziari degli ultimi mesi potrebbero funzionare come un buon campanello d’allarme, tale da spingere i governi ha rimettere in sesto i loro conti. Le istituzioni e la politica stessa potrebbero essere riformate, mantenendo maggiormente distinto il loro ruolo da quello della banca centrale. Anche i mercati potrebbero uscirne rinforzati e le banche potrebbero rivedere sistemi e procedure, evitando una nuova babele di titoli tossici. La storia, però, potrebbe andare diversamente e confortare la provocatoria sentenza di Eichengreen: «Creare l’unione monetaria dei 50 stati americani è stato un errore. La zona del dollaro è destinata a frammentarsi nel corso dei prossimi dieci anni».