Orge in Cina: vietate, ma parliamone
L’accusa è “licenziosità pubblica”, ma il luogo era privato
di Matteo Miavaldi
Ma Yaohai, 53 anni, è un professore di informatica all’Università di Nanjing. Giovedì scorso, il tribunale della provincia del Jiangsu l’ha condannato in primo grado a 3 anni e mezzo di reclusione per aver organizzato e partecipato ad orge e party di scambisti, almeno 18 secondo quanto riportato dai media, nel suo bilocale privato a Nanjing, dove vive assieme alla madre.
Qui in Cina, la notizia ha scatenato una serie notevole di reazioni, mobilitando editorialisti, sessuologi, professori penalisti e semplici cittadini: al di là dei dettagli piccanti della vicenda, l’opinione pubblica sta cercando di ragionare sul ruolo delle autorità cinesi, giudicato ora da molti troppo invasivo nella vita privata dei cittadini.
L’accusa mossa a Ma Yaohai è quella di “licenziosità pubblica”, una peculiarità cinese che potrebbe essere paragonabile al nostro “atti osceni in luogo pubblico”: peccato che qui manchi il luogo pubblico, siccome tutto si svolgeva all’interno delle mura private di casa o in stanze d’albergo appositamente affittate e regolarmente pagate.
Ma Yaohai, con due divorzi alle spalle, da anni faceva parte del giro di scambisti che, accordandosi su internet, si davano appuntamento periodicamente. Oltre al professore, fermato assieme ad altre 5 persone durante una retata dello scorso 21 agosto in un hotel nei pressi di Nanjing, in seguito agli interrogatori della polizia sono saltati fuori altri nomi di scambisti, facendo salire il numero degli accusati a 22. Tutti maggiorenni e consenzienti. “Il matrimonio è come l’acqua, la si deve bere – ha dichiarato Ma spiegando la sua condotta personale – mentre lo scambismo è come il vino: alcune persone lo provano e non lo apprezzano, quindi smettono di berlo e non lo berranno mai più. E’ tutto completamente volontario, nessuno ti obbliga.”
Dei 22 arrestati, il professor Ma è stato l’unico a dichiararsi non colpevole: in cambio, è stato l’unico ad essere condannato.
A sua difesa si è esposta subito Li Yinhe, sessuologa, che in questa traduzione postata su ChinaGeeks traccia la storia delle leggi sessualmente restrittive in vigore in Cina: la legge alla quale si è appellata la corte del Jiangsu è figlia di una vecchia legge abrogata nel 1997, che rendeva illegali e punibili con la pena di morte le attività sessuali al di fuori del matrimonio. Negli anni ‘8o, mentre in Italia stavano per nascere Colpo Grosso e Drive In, a Xian la signora Ma Yantai veniva condannata a morte per aver partecipato a delle feste “non armonizzate”.
Anche sul China Daily è comparso un editoriale abbastanza critico firmato da Cao Li, segno che all’interno degli organi ufficiali di partito si vuole dare l’impressione di un dibattito embrionale sulle libertà dell’individuo.
Se ad una prima impressione la vicenda può sembrare una clamorosa ed ingiusta intrusione delle autorità nella vita privata di un cittadino cinese (e questa è la sensazione che ho avuto immediatamente leggendo la notizia), in realtà le conseguenze pubbliche di una storia come questa, qui in Cina, sono potenzialmente molto pericolose.
Forse la crudeltà peggiore che la dittatura cinese abbia inferto al suo popolo è stata quella di condannarlo alla reale insostituibilità della guida governativa in ogni aspetto della vita di tutti i giorni, anche quelli più intimi.
Dopo aver passato gran parte del dopoguerra ad educare un popolo all’ignoranza, alla chiusura in se stesso, avergli negato la conoscenza del mondo esterno con le sue modernità ed i suoi problemi, oggi il governo, le leggi che ha scritto e le persone che ne fanno le veci ad ogni livello della società (dall’università al posto di lavoro, dalla scuola ai capi-villaggio nelle campagne) per mantenere il calderone represso di un miliardo e trecento milioni di cinesi ad una temperatura di sicurezza, è costretto ad adottare misure drastiche come deterrente sociale. Immaginatevi, se domani, in un Paese dove la repressione sessuale ha allentato la morsa pochi anni fa, passasse il messaggio che le orge si possono fare e non fanno male a nessuno. Cosa succederebbe? Non a Pechino o a Shanghai, ma cosa succederebbe nelle campagne sperdute dello Henan, dove nel 1994 milioni di contadini hanno contratto il virus dell’AIDS ignorando completamente l’esistenza della malattia (noi eravamo bombardati da pubblicità progresso e da film come Philadelphia, ad esempio)? Cosa succederebbe in un Paese dove ancora oggi, sulla metropolitana, dei buffi cartoni animati con pupazzetti verdi insegnano alla popolazione che è sbagliato sputare per strada, che bisogna fare la fila all’entrata della metropolitana, che se ti mancano delle viti per attaccare una mensola non bisogna smontare quelle delle altalene nei parchi giochi…
Il dibattito sulla vicenda di Ma Yaohai rappresenta un altro piccolo passo verso la democrazia, ma la strada è ancora molto lunga e le condizioni che potranno permettere qui in Cina un avvenire veramente libero, per certi versi, ancora non si vedono.
Se lo slogan “Arricchirsi è glorioso” di Deng Xiaoping ha aperto la straordinaria stagione economica cinese, oggi questo continente, per prendere in mano il proprio destino, ha bisogno di aprire una nuova stagione culturale: ed ancora una volta, l’ultima parola spetta solo al padre-padrone cinese, il Partito Comunista Cinese.