Il metodo sicuro della camorra per vincere al Superenalotto
Roberto Saviano racconta su Repubblica come le cosche individuino e ricattino i vincitori
La storia raccontata oggi da Roberto Saviano su Repubblica parte da una vincita al Superenalotto del 17 gennaio 2008: 36 milioni spartiti tra trenta vincitori in un paesino dell’avellinese. E prosegue spiegando come la camorra estenda la sua efficienza esattoriale fino alle vincite di questo genere, pretendendo una percentuale dai vincitori, che sa come individuare.
Le organizzazioni criminali considerano a loro disposizione il territorio: case, imprese, risorse, e anche la vita delle persone. Se arrivano sul territorio ben 36milioni di euro devono essere rintracciati e i possessori devono versare la loro quota. È legge. Una percentuale deve andare al clan per essere distribuita tra tutti gli affiliati in carcere che nella logica camorrista stanno patendo per tutti. E quindi devono avere la fetta legittima.
Il clan quando decide di cercare i vincitori non ha certezza dei nomi. I trenta si nascondono, non danno nell’occhio, non festeggiano. Lo fanno per difendersi dalle richieste, dalle invidie non pensano di rischiare di perdere addirittura una parte della vincita. Ma il paesino è minuscolo e lentamente emergono le prime rivelazioni.
Saviano riassume quello che è emerso da un’indagine condotta su questa storia, contestualizzandola come sa fare benissimo, aggiungendo precedenti, e soprattutto elencando i molti modi con cui le cosche criminali si sono impossessate del gioco in generale, persino costruendo il proprio gratta e vinci.
Un finanziere per puro caso si è trovato uno di questi biglietti. Gli è sembrato non conoscere questo tipo di tagliando e ha iniziato l’investigazione. L’organizzazione aveva fatto stampare e distribuire sul territorio nazionale, più di quattro milioni di tagliandi, simili ai Gratta e Vinci. La produzione era affidata a due società, una con sede a Casalnuovo, l’altra con sede a Roma. I tagliandi venivano distribuiti da due società operanti a Cardito e Cassino. Il meccanismo studiato dall’organizzazione faceva leva anche su accurate politiche di vendita. Per non avvelenare il mercato l’organizzazione decideva i tempi dell’immissione dei tagliandi. Tempi che dovevano essere rispettati dai procacciatori, almeno un’ottantina e tutti gestiti dall’organizzazione.
Il resto della storia è nell’articolo sul sito di Repubblica.