Intercettazioni, abbiamo scherzato?
La legge in discussione in parlamento ridotta a un "patto del crodino"
La legge sulle intercettazioni sta diventando un affare spinoso e delicato, e i giornali di oggi danno conto della situazione nervosa all’interno del governo, stretto tra le modifiche suggerite dai finiani, il ritorno alla severità della legge già approvata alla camera e la tentazione di far passare la legge al senato e abbandonarla lì, come fatto in passato col processo breve: un po’ per le barricate dell’opposizione, un po’ per il fronte comune della stampa (ieri molti direttori di testate di diverso orientamento politico hanno partecipato a una conferenza stampa per chiedere modifiche), un po’ per le esigenze della minoranza interna al PDL, pronta a far saltare il tavolo se la legge non subirà alcune modifiche.
Ricapitolando. La legge sulle intercettazioni è già passata alla camera, nella sua versione più dura: divieto assoluto di pubblicazione di materiali (neanche per riassunto), carcere ai giornalisti. I finiani hanno sbarrato la strada al PDL, ieri lo stesso presidente della camera ha detto di essere “fermamente convinto” di voler difendere il diritto di cronaca, modificando la legge. La legge è stata modificata – e approvata – questa notte dalla commissione giustizia, ora è pronta per essere discussa in aula. Questa la ricostruzione del Corriere, che racconta di come l’accordo sia stato definito da Quagliariello, ehm, “patto del Crodino”.
Di tutto questo hanno discusso all’ora dell’aperitivo— e infatti lo hanno chiamato il «patto del Crodino» — anche i capigruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, che era accompagnato da Gaetano Quagliariello. Il patto prevede tre passi successivi: uno, approvazione entro oggi del testo così com’è in commissione senza arretrare di un millimetro davanti all’ostruzionismo dell’opposizione; due, rapidissima calendarizzazione in Aula dove governo e relatore proporranno le modifiche sulla sanzione minima per gli editori che pubblicano arbitrariamente atti giudiziari non coperti da segreto (la pena minima verrebbe più che dimezzata) il ripristino del secondo comma dell’articolo 114 del Codice penale (il cosiddetto lodo Bongiorno sulla possibilità in ogni caso di pubblicare gli atti giudiziari per riassunto). Tre, «patto tra gentiluomini» con i finiani per blindare il testo che uscirà a metà giugno dal Senato e affronterà, presumibilmente a luglio, la terza lettura alla Camera.
Tutti d’accordo, allora: Cicchitto e Gasparri col loro crodino, il presidente della camera Fini con in tasca le modifiche che chiedeva e il presidente del senato Schifani rassicurato (“Non voglio veder uscire da questo palazzo una legge bavaglio”, sembra aver detto ieri). Ma questa era la partita che si giocava in parlamento; il governo ne gioca un’altra. Il ministro della giustizia Alfano ha fatto sapere di non essere soddisfatto delle modifiche, e lo ha fatto lanciando un messaggio neanche tanto trasversale: “Ribadisco che il testo su cui il governo ha posto la fiducia è il testo della Camera”. E il problema non sono soltanto le modifiche, ma anche il fatto che queste siano arrivate a seguito di emendamenti di iniziativa parlamentare e non governativa, e il timore che questo possa rappresentare “un colpo all’immagine del governo”. Il paradosso è che Berlusconi, costretto a ingoiare la retromarcia, non avrebbe altra scelta: tentare di farla passare per sua. Oppure no, stando a quanto ricostruisce Liala Milella su Repubblica.
Detti i fatti nuovi, siamo all’antefatto. Il dubbio, che da alcuni giorni serpeggia nella mente del Cavaliere, se non sia il caso di mandare tutto all’aria. Chiudere il capitolo delle intercettazioni. Lasciar morire il ddl in un ramo del Parlamento com’è avvenuto per il processo breve. Quello doveva servirgli per bloccare i suoi dibattimenti, ma poi è arrivato il legittimo impedimento. Questa, la legge sugli ascolti, per usare le sue parole, “non serve più a nulla”. Non fa che dirlo: “Per come l’avete scritta, non mi è mai piaciuta, ora è un compromesso al ribasso inaccettabile. L’avevo detto io: le intercettazioni si devono poter fare solo per mafia e terrorismo. E voi ci avete messo pure la corruzione. A questo punto a che serve?”. Abbandonarla dunque, dopo il passaggio al Senato. Non dare a Fini quest’ultima soddisfazione di obbedire ai suoi diktat. E magari incassare un bonus pure dagli americani, visto che a quell’amministrazione questa legge non piace. Berlusconi la pensa così, ma molti tra i suoi lo tengono a freno, temono una brutta figura peggiore della retromarcia su singole modifiche, spingono per un compromesso. Per questo Schifani media. E Alfano obbedisce.