Diario da Cannes: capitolo finale
Il film tailandese che ha vinto la palma d'oro aveva fatto scappare i giornalisti dalla proiezione
di Gabriele Niola
Così alla fine ha vinto il film tailandese del quale molto si era riso a tutti i livelli e che almeno metà della stampa italiana (che oggi scrive) non ha visto per intero o non ha visto per niente.
Zio Boonme che ricorda le sue vite passate di Apichatpong Weerasethakul è stato sfottuto per tutto il periodo del festival dalla stampa specializzata e dagli accreditati che l’hanno e non l’hanno visto. Il tailandese è infatti noto per fare un cinema non facile e non sempre concreto, cioè che al racconto dilatato (molto dilatato!) di storie che non seguono un filo logico, come lo possiamo intendere in occidente, non fa poi corrispondere suggestioni efficaci. Insomma non è Lynch, che non capisci nulla ma ti piace, qui non capisci nulla e ti addormenti.
Invece, a totale sorpresa la giuria presieduta da Tim Burton l’ha premiato e il film (sorpresa ancora maggiore) arriverà in Italia distribuito dalla BIM. Sebbene si dovrebbe sempre essere lieti del fatto che il film che vince il festival di cinema più importante del mondo venga distribuito e dunque sia visibile nel nostro paese, è impossibile non pensare che il marchio “Palma d’Oro al Festival di Cannes” (quello che si appone sulla locandina) diventerà ancora di più un segno d’infamia.
Da tempo ormai gli esercenti (che della filiera cinematografica sono la prima linea con tutto il corollario di isteria, pavidità e orgoglio che si accompagna a quella posizione) lamentano il fatto che il film vincitore della Palma D’Oro non incassa, a prescindere da quale sia, e che dunque sia proprio quel titolo in teoria onorifico a spaventare. Ecco, il film di Apichatpong Weerasethakul spaventa e molto per come veicola un’idea di cinema autoriale e di cinefilia che la critica moderna va combattendo da tempo, ovvero la cultura da cineforum di un cinema ermetico e lontano dal pubblico.
Questo non significa che il film non abbia meritato il premio ma che la sua distribuzione (difficile e avventurosa di certo) segnerà con probabilità un altro spacco nel modo in cui vengono recepite, almeno in Italia, questo tipo di opere. Tim Burton ha dichiarato di essere venuto a Cannes per vedere cinematografie lontane dalla sua sensibilità, cose strane e diverse e dunque ha ritenuto di assegnare il premio di conseguenza. La stimabile linea di pensiero del regista però cozza con il fatto che, sebbene in un festival con pochissimi acuti, il film di Apichatpong Weerasethakul rischia di veicolare ancora una volta e ancora di più un’immagine sbagliata del cinema autoriale di cui Cannes è simbolo.
Zio Boonme che ricorda le sue vite passate non è rappresentativo delle opere passate in concorso e fuori concorso, si sono visti tanti film belli e commerciabilissimi (Another Year di Mike Leigh, Exodus di Mikhalkov, On Tour di Amalric) che forse non saranno mai distribuiti nel nostro paese. Il vincitore dell’anno scorso, un film mediamente difficile e in bianco e nero come Il nastro bianco di Michael Haneke, andò malissimo al box office, anche valutando le medie per sala. Quest’anno che succederà con quest’opera alle cui proiezioni di Cannes il pubblico (critici, giornalisti, appassionati) se ne andava a metà?