Due scudetti più due scudetti fa quattro scudetti, forse
È uscito per Isbn Edizioni "Calcionomica", il libro che racconta il calcio con i numeri
Qual è il paese che ama di più il calcio? I calci di rigore sono ingiusti? Il dominio dell’Inter fa bene o male al campionato? Considerando il numero degli abitanti, qual è la nazionale più forte del mondo? I paesi poveri creano giocatori più o meno forti di quelli dei paesi ricchi? Ci sono suicidi collegati alle sconfitte calcistiche? Simon Kuper, giornalista calcistico, e Stefan Szymanski, economista, provano a rispondere a queste domande in “Calcionomica“, libro edito da Isbn Edizioni che partendo da numeri, statistiche e grafici cerca di raccontare il mondo del calcio, dagli aspetti sportivi a quelli sociali.
È strano che il calcio sia così ostile allo studio dei dati, perché molti tifosi si appassionano al gioco attratti proprio dall’amore per i numeri. L’uomo giusto a cui sottoporre questo dubbio è Alex Bellos, autore del magnifico libro Futebol: The Brazilian Way of Life, nonché laureato in Matematica a Oxford, attualmente alle prese con un testo di matematica per profani.
«I numeri danno soddisfazioni incredibili» ci dice Bellos. «Il mondo non ha un ordine, la matematica è un modo di vedere un mondo ordinato. Le classifiche dei campionati hanno un ordine. E i calcoli che devi fare per ottenerle sono semplicissimi, non si va oltre la tabellina del tre.» Anche se la maggior parte dei tifosi probabilmente lo negherebbe, la passione per il calcio è spesso intrecciata con la passione i numeri. Ci sono i risultati delle partite, le date famose, e la gioia speciale di starsene seduti al bar il lunedì mattina a «leggere» la classifica sul giornale. In fondo, il Fantacalcio è un gioco numerico. Ascoltare i risultati delle partite del fine settimana letti alla radio è per metà un romanzo fatto di nomi di località, per metà una poesia di numeri.
Con questo libro vogliamo introdurre nuovi numeri e nuove idee nel calcio: cifre dei suicidi, del costo dei salari, della popolazione, di tutto ciò che aiuta a rivelare nuove verità su questo sport. Anche se Stefan è un esperto di Economia dello sport, questo non è un libro sui soldi. Lo scopo delle società di calcio non è ottenere dei profitti (il che è una fortuna, visto che quasi nessuna lo fa) e noi non siamo particolarmente interessati ai profitti che eventualmente fanno. Vogliamo invece sfruttare le capacità di un economista (con l’aggiunta di un pizzico di geografia, psicologia e sociologia) per capire il gioco che si svolge in campo, e i suoi tifosi.
Forse alcuni non vorranno che il loro legame affettivo con il calcio venga rovinato dai nostri numeri. D’altra parte, la prossima volta che l’Italia uscirà da un Mondiale ai rigori quella stessa gente si metterà a lanciare i suoi bicchieri di birra contro la televisione, anziché stemperare la propria delusione riflettendo sul senso della teoria binaria della probabilità.
Pensiamo sia un buon momento per scrivere questo libro. Per la prima volta nella storia del calcio c’è una vera miniera di dati in cui scavare. Tradizionalmente, gli unici numeri che esistevano erano i gol e le classifiche. (I giornali pubblicavano le cifre dell’affluenza agli stadi, ma erano inattendibili.) Alla fine degli anni ottanta, quando Stefan cominciò a dedicarsi all’Economia dello sport, erano stati pubblicati solo venti o trenta articoli accademici in materia. Adesso ce ne sono un’infinità. E molte delle verità che contengono non sono ancora giunte alle orecchie dei tifosi. L’altra nuova fonte di conoscenza è lo scaffale dei libri sul calcio, sempre più stracolmo. Si tratta di un fenomeno globale piuttosto recente, che ha preso probabilmente avvio in Gran Bretagna.
Quando Pete Davies pubblicò il suo All Played Out: The Full Story of Italia ’90 [Tutto finito. La vera storia di Italia ’90], c’erano in circolazione al massimo venti o trenta buoni libri sul calcio. Ora – grazie anche a Davies, descritto come il Giovanni Battista del Gesù da Nick Hornby – ce ne sono migliaia. Molti di questi libri (compreso Futebol di Bellos) contengono verità che noi abbiamo cercato di riproporre qui. Il flusso di dati è diventato così inarrestabile che perfino chi è dentro il mondo del calcio sta cominciando ad analizzarlo. Michael Lewis, autore di Moneyball, ha scritto sul New York Times nel febbraio 2009: «Il virus che ha infettato negli anni novanta il baseball professionistico, l’uso delle statistiche per scoprire metodi nuovi e più efficaci per valutare giocatori e tattiche, si è fatto largo in tutti gli sport maggiori. Non solo il basket e il football americano, ma anche il calcio, il cricket, il rugby e, per quanto ne so, il biliardo e le freccette: ogni sport ormai coltiva la propria sottocultura di cervelloni che non lo vedono solo come un gioco a cui partecipare ma come un quesito da risolvere».
Nel calcio, uno di questi cervelloni (tra le ridicole insulsaggini di questo sport c’è che debbano necessariamente essere uomini) è Arsène Wenger, l’allenatore dell’Arsenal. Wenger, specializzato in Economia, è un maniaco delle statistiche, come il numero di chilometri percorsi da ciascun giocatore nel corso di una partita. A fare di lui un eroe di Soccernomics è l’aver capito che nel calcio di oggi, per essere all’avanguardia, si ha bisogno di dati. Se si studiano le cifre, si capisce di più e si vince di più.
A poco a poco, anche i colleghi di Wenger stanno smettendo di affidarsi solo all’istinto. Sempre più spesso utilizzano programmi come Prozone per analizzare partite e giocatori. Un altro precursore dell’imminente invasione jamesiana del calcio è il Milan Lab. Tempo fa, lo staff medico interno del Milan scoprì che studiando semplicemente il modo di saltare di un giocatore si poteva prevedere con una precisione del 70% se si sarebbe infortunato. Accumulando nei computer milioni di dati su ogni giocatore della squadra, i ricercatori del Milan si imbatterono nel segreto dell’eterna giovinezza. (A tutt’oggi resta un segreto: nessun altro club ha un Milan Lab, e il laboratorio non diffonde le proprie scoperte, motivo per cui i giocatori delle altre squadre poco dopo i trent’anni sono per lo più finiti.)
Attualmente il Milan è in declino per una serie di motivi, ma nella finale di Champions League del 2007 riuscì a battere il Liverpool con una squadra in gran parte composta da giocatori oltre i trentun anni. Si è già detto abbastanza di Paolo Maldini, ma anche il trentatreenne Filippo Inzaghi, autore di entrambi i gol del Milan, era piuttosto vispo per la sua età. In gran parte quel trofeo fu merito del Milan Lab e del suo database, ennesima versione del trionfo dei secchioni.
Man mano che discutevamo e cominciavamo a concentrarci su calcio e dati, ronzavamo attorno alle domande più svariate. Era possibile trovare cifre che indicassero in quale paese il calcio fosse più amato? Il calcio in qualche modo era un deterrente degli omicidi? E forse potevamo tentare di predire quali squadre e quali paesi – probabilmente la Turchia, forse perfino l’Iraq – avrebbero dominato il calcio del futuro. Uno di noi, Stefan, vive a Londra, l’altro, Simon, a Parigi, e così abbiamo passato un anno a sparare cifre, teorie e aneddoti da una sponda all’altra della Manica. Nel frattempo, mettevamo in dubbio ogni singola certezza del calcio tradizionale, e la sottoponevamo alla prova dei numeri. Come ci disse Jean Pierre Meersseman, belga, direttore del Milan Lab e gran fumatore: «Si riesce a guidare una macchina senza navigatore, senza nessuna informazione, ed è proprio questo che avviene nel calcio. Ci sono ottimi guidatori, ottime macchine, ma se si ha anche il navigatore, tutto diventa più facile. Mi chiedo perché la gente non voglia più informazioni». Noi le vogliamo.