Lo “choc generazionale” e le vecchie generazioni
Il Corriere della Sera interpella gli ex baroni vicini al PD sulla proposta di pensionare i baroni universitari
Oggi il Corriere della Sera chiede pareri tra i “baroni” di sinistra sulla proposta di anticipare l’età di pensionamento a 65 anni nelle università e ringiovanire così la classe docente: al progetto contenuto in un documento del PD che sarà discusso dall’assemblea del partito oggi e domani, aveva dedicato due pagine la Stampa qualche giorno fa. Il primo ascoltato è il professor Asor Rosa, 76 anni.
«Potevo restare altri cinque anni: andando via a 70 ho compiuto un gesto eroico, rarissimo nell’ambiente»
«La misura dei 65 anni è giusta, ma insufficiente. Aprire nuovi spazi ma non è così meccanico come sembra: alla Sapienza ogni cinque pensionamenti c’è un nuovo arrivo. Il turn over è fatale, inevitabile, ma pensare di risolvere tutto mandando in pensione i baroni è elementare, insufficiente e rozzo»
Il controargomento “pensare di risolvere tutto” è sempre molto abusato: pare ovvio che nessuno “pensi di risolvere tutto” né con questa proposta né con altre. Ma Asor Rosa ritiene di aver individuato solo lui altri problemi, forte del fatto che il centrosinistra ha fatto i suoi sbagli che il documento PD oggi ammette: «Cominciamo da una seria autocritica: le politiche dei governi di centrosinistra non sono esenti da colpe»
«Contro la famosa riforma del 3+2 ho battagliato per anni: ha contribuito ad abbassare il livello delle università italiane. L’autocritica dovrebbe essere ben più forte»
Il Corriere poi interpella Luigi Berlinguer, ex ministro dell’Istruzione e oggi eurodeputato eletto come capolista alle ultime elezioni. Anche lui andato in pensione dall’università a 70 anni.
«Il Pd ha ragione a chiedere di aprire nuove strade d’ingresso ai giovani e accorciare la permanenza da parte dei professori anziani può essere una soluzione. Ma bisogna trovare un modo per salvare esperienze e intelligenze scientifiche»
E su questo, la proposta si è espressa diffusamente, proponendo il modello di prepensionamento solo in quei casi in cui non sia dimostrata l’assiduità dell’apporto didattico e scientifico.
«I baroni sono certamente un elemento degenerativo. Il reclutamento è personalizzato e familistico. Ma c’è una patologia ancor più grave, la governance: bisogna evitare che gli organi di autogoverno siano rappresentativi solo di interessi interni, bisogna rompere la corporazione».
Anche Berlinguer espone quindi la sua quota di benaltrismo. Segue Luciano Modica, ex rettore a Pisa e responsabile università con Veltroni e Franceschini
«Sono perplesso. Giusto dare spazio ai giovani, ma siamo sicuri che sia la strada giusta? Da sottosegretario, con Mussi, finanziammo con 80 milioni all’anno l’assunzione di 4.000 ricercatori. Pensionare prima può andar bene, ma c’è già stata un riduzione di sette anni, da 77 a 70: se si abbassa ancora, nell’arco di dieci anni avremmo tolto 12 anni di carriera»
E non è chiaro quale sia la reale controindicazione di togliere 12 anni di carriera a una carriera che pu0 durarne cinquanta. Ma probabilmente la sintesi giornalistica ha ridotto l’opinione di Modica. Infine, Ignazio Marino, che non è anziano abbastanza da essere considerato barone. È favorevole a smaltire, ma non sulla base dell’età.
«Non mi convince il documento di Meloni, non basta il criterio anagrafico. Nel 1980 fu varata la legge madre di tutti i disastri, con la quale entrarono in ruolo, inamovibili, 30 mila docenti. Molti hanno lavorato bene, molti altri non hanno fatto nulla. Facciamo un’anagrafe: chi non ha prodotto lavori scientifici, lo accompagniamo alla porta».