Difetti collaterali
Perché la legge sulle intercettazioni rischia di essere dannosa sul fronte delle indagini e inutile su quello della stampa
Il dibattito sulle intercettazioni e la relativa legge in discussione in questi giorni è impiccato su due posizioni opposte e inconciliabili: la stampa e l’opposizione sostengono che si tratti di un provvedimento liberticida e pericoloso, che pregiudica e compromette la possibilità di indagare su determinati reati, la qualità dell’informazione offerta all’opinione pubblica e la loro possibilità di incidere sulla realtà; il governo non si limita a dire che un giro di vite era necessario, considerati gli eccessi del passato, ma si spinge a sostenere che il lavoro dei magistrati e dei giornalisti non subirà alcun contraccolpo.
Già ieri Repubblica elencava cinque casi in cui la pubblicazione di documenti secretati su una determinata inchiesta aveva avuto conseguenze pubbliche e politiche non disprezzabili, quantomeno preferibili alle controindicazioni. Oggi torna sul tema la Stampa, che immagina cosa sarebbe successo negli ultimi anni se la legge in discussione fosse già in vigore. Della casa di Claudio Scajola non sapremmo nulla, così come dele risate degli imprenditori durante il terremoto dell’Aquila: “difficilmente Scajola si sarebbe dimesso”, scrivono. I fatti sull’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio e i “furbetti del quartierino”, datati estate 2005, sarebbero venuti fuori solo l’anno scorso. Le indagini su Calciopoli sono finite nel 2008: di calciopoli e di Moggi avremmo saputo solo tre anni dopo. Del caso Marrazzo non sapremmo nulla. Il caso Parmalat sarebbe uscito un anno dopo, la frase di Sandra Lonardo nell’inchiesta che portò alla caduta del governo Prodi – “Voglio quell’uomo morto” – l’avremmo saputa sei mesi fa.
La Stampa fa un passo in più e ripubblica un articolo dello scorso febbraio sull’inchiesta che riguarda Guido Bertolaso. Lo ripubblica evidenziando in giallo le cose che non avrebbe potuto scrivere, se la legge fosse già in vigore. C’è molto, quasi tutto.
Oppure no. Nel senso che forse, anche a fronte di un tale sforzo repressivo, i giornalisti potrebbero trovare comunque il modo legale di pubblicare informazioni riservate e voci di corridoio. È il cosiddetto “effetto Dagospia”, descritto da Flavia Perina sul Secolo e sul suo blog sul Post. Insomma, la legge renderebbe più complicate le indagini, sì. Ma sul fronte della stampa potrebbe essere semplicemente inutile.
Uno dei possibili effetti collaterali delle nuove norme sulla pubblicazione degli atti di indagini sarà il trasferimento su internet di informazioni altrimenti “a rischio sanzione”, una sorta di “effetto Dagospia” su larga scala. Gli addetti ai lavori conoscono bene la tecnica: un sito web raccoglie una voce e i giornali la riprendono da lì, dribblando quelle che sono le ordinarie procedure di verifica e di responsabilità in ordine alla notizia. Di questo meccanismo sono stati vittime, in passato, tanti esponenti del centrodestra e del centrosinistra. A memoria ricordiamo un ministro il cui nome fu collegato a un libretto scandalistico proprio da un post senza firma poi “rimbalzato” sui quotidiani. Il gossip anonimo al posto dell’informazione “certificata” dal nome e cognome di un giornalista e di un direttore: è questo che vogliamo? Ed è questo che moralizzerà la stampa italiana? Sono domande che, crediamo, i vertici del Pdl dovrebbero porsi in queste ore, anche al di là della mobilitazione sulla libertà di cronaca che sta coinvolgendo un pò tutte la stampa italiana contro le nuove norme sulle intercettazioni.