L’anarchia del triciclo in Cina
Scomodo per i passeggeri ma molto dinamico per chi lo guida, si può trasformare in un istante da bancarella della frutta mobile a taxi a pedali, e ci si può anche traslocare
di Matteo Miavaldi
In giro per Pechino, dalle grosse arterie a tre corsie fino ai viottoli degli hutong, c’è un solo mezzo di trasporto a farsela da padrone: il sanlunche (leggi: sanlun – c), ovvero il triciclo.
Letteralmente “carro dalle tre ruote”, il sanlunche non è proprio roba da bambini: è una specie di biciclettone di metallo a tre ruote con dietro un carretto incorporato, massimo 70×40. Ha la licenza all’anarchia che hanno le biciclette, in un Paese dove il traffico non è regolato dal codice della strada ma dalla legge del terrore, combinata con la stazza di un apecar; un connubio che lo rende un mezzo di trasporto di rara scomodità per i passeggeri ma molto dinamico per chi lo guida, vista la versatilità col quale può trasformarsi in un istante da bancarella della frutta mobile a taxi a pedali.
Le potenzialità nascoste del sanlunche mi si sono manifestate lo scorso weekend, quando il proprietario della nuova casa si è offerto di venire ad aiutarci per il trasloco. Dovendo spostare una quantità considerevole di mobili, armadi a doppia anta, divanoletto in metallo, pentolame e cibarie varie, quando il fandong (padrone di casa) ci si è presentato davanti alla porta in sella al suo sanlunche, la reazione immediata è stata di sconforto, subito sostituita da un profondissimo rodimento per esserci alzati alle 7 di domenica mattina inutilmente. Con quel catorcio, pensavamo noi infedeli, il vecchio non avrebbe mai portato più di un paio di borsoni.
Invece, forte dell’esperienza dei suoi 59 anni tutta scolpita sulle mani a forma di badile, in pechinese doc ha iniziato a spronarci a caricare tutto sul carretto; impilati quindi il divanoletto a una piazza e mezza in metallo (peso apparente 70 kg), un materasso a due piazze, un tavolo in legno pieghevole e 4 sedie, mentre noi immigrati puntellavamo l’enorme piramide per mantenere l’equilibrio, il fandong ci deliziava con le sue doti sopraffine di ingegnere. Sfoderando dal cestino del sanlunche una corda bianca, con estrema perizia e calma ha iniziato a legare tutto alla struttura del sanlunche, schiacciato sotto un peso approssimativo che superava il quintale, tutto concetrato nel retro del mezzo: da fermo, il sanlunche rispondeva alle leggi della fisica impennandosi a mo’ di vittoria del MotoGP di Indianapolis.
Fissati i due capi della corda e piazzatosi in sella a fare da contrappeso, il fandong ha iniziato la sua pedalata verso la casa nuova, fortunatamente vicina, mentre noi lo seguivamo a debita distanza, tra il titubante ed il meravigliato.
Il tragitto, andata e ritorno, è stato compiuto in totale sette volte, dalle otto del mattino alle quattro e mezza del pomeriggio, allietato dai preziosi consigli di tutto il vicinato, un conclave di menti geniali ghettizzato tra i vicoli vicino alla Città Proibita che non perdeva occasione, vedendo due italiani intorno ai 65 kg stritolati sotto il peso di un divanoletto, di suggerire le tecniche migliori per superare curve a gomito, gatti, bimbi con triciclo o pozzanghere di fango. Accorgendosi che il nostro vocabolario da manovale cinese non era molto aggiornato, la maggioranza per farsi capire andava a gesti ed urla, spesso sovrastati dalle risate delle mogli e dei vecchietti rugosi appoggiati al bastone: uno spettacolo così, con due italiani pratici a maneggiare computer portatili e vocabolari alle prese con un armadio, non capita spesso da quelle parti.
Nella pausa pranzo concessa dal nostro fandong, che oramai fungeva da supervisore dei lavori accendendosi una sigaretta dietro l’altra, siamo andati tutti insieme al ristorante, dopo un’estenuante contrattazione per permetterci di offrirgli il pasto: seduti al tavolo, chiedo se anche lui vuole bere birra (la Qingdao, chi di voi è stato al ristorante cinese ed ha ordinato “billa cinese”…ecco, è quella, con scritto sulla bottiglia “Tsingtao”, saporita come l’aqua del pediluvio e dalla gradazione alcolica dei plasmon, qui orgogliosamente venduta come “la birra più bevuta al mondo”…bella forza!), ma il padrone scuote la testa: “Ho 59 anni, oramai sono vecchio per la birra…da giovane bevevo eccome, ma adesso la birra mi fa male alla pancia”. Quindi si gira urlando verso la cameriera ed ordina una bottiglia da mezzo litro di baijiu: una grappa mortale da 45°dal gusto e l’odore imparentati più con l’acquaragia che con la Gandolini. E’ pratica comune, specie per i pechinesi non proprio di primo pelo, pasteggiare sorseggiando questo intruglio letale alternandolo con una boccata di sigaretta, perennemente accesa quando si è a tavola ( in Cina non solo si può fumare nei locali pubblici, si deve!)
Per aiutarci, il padrone di casa alla fine non ha voluto nemmeno uno yuan: gli sono bastati il suo sanlunche, due pacchetti di sigarette e mezzo litro di grappa. Una normale agenzia per i traslochi, per la modica cifra di 200 yuan (intorno ai 20 euro), in un paio d’ore ci avrebbe smantellato casa e riarredato tutto a destinazione, senza che noi dovessimo muovere un dito.
A fine giornata facevamo fatica a stare seduti, ma vuoi mettere il divertimento?