Nove ore a settimana
Repubblica fa un po' di conti sulle ore di lavoro in aula dei parlamentari italiani
Negli ultimi anni, quanti ne abbiamo letti di articoli come quello di Carmelo Lopapa pubblicato oggi su Repubblica? Dieci, venti, trenta? Il punto è che i dati e il materiale non finiscono mai, quando si valuta il modo in cui lavora il parlamento italiano. La settimana scorsa alla Camera si è toccato il fondo, scrive Lopapa: due sole sedute con votazioni, il martedì e il mercoledì. Il giovedì i deputati erano già tutti a casa.
Chi se ne è lamentato è stato Gianfranco Fini, che durante la conferenza dei capigruppo di ieri si è lamentato nuovamente per la cosiddetta “settimana cortissima”, prendendosela anche coi suoi colleghi del governo, rei di relegare al parlamento le briciole salvo poi lamentarsi quando i deputati non si fanno trovare pronti per approvare a tempo di record provvedimenti con percorso d’urgenza.
Con sorpresa del ministro (berlusconiano) ai Rapporti col Parlamento, Elio Vito, Fini apre una cartellina e inizia a snocciolare i dati di questa debacle solo in parte imputabile al Parlamento. In particolare, ricorda che dall’inizio della legislatura ben 29 volte i disegni di legge sono stati rinviati dall’aula alle commissioni: 19 provvedimenti del governo, 4 della maggioranza, 5 delle opposizioni. […] In 19 settimane, ovvero dall’inizio dell’anno, a Montecitorio le ore d’aula sono state poco meno di 305, ovvero 16 per ogni settimana lavorativa. Che poi va dal lunedì pomeriggio (pochissimi sugli scranni) al giovedì. Le sedute sono state 60, ma è fallito il tentativo del presidente Fini di prolungare i lavori al venerdì. L’attività è quasi del tutto assorbita dai provvedimenti del governo. Su 40 approvati nel 2010, sono 23 i ddl governativi, 10 decreti e solo sette disegni di legge di iniziativa parlamentare.
Quello che l’articolo non dice è che l’attività di un parlamentare non è composta soltanto dalle sedute in aula, ma anche da quelle in commissione: qui la discussione sui testi di legge dura spesso di più dell’esame finale in aula, dove il più delle volte i giochi sono fatti. E poi c’è il tempo che ogni parlamentare avrebbe il dovere di dedicare al cosiddetto rapporto col territorio, al contatto con gli elettori: certamente non è la prima preoccupazione di molti di loro, ma non si può non tenerne conto nel momento in cui si chiede trasversalmente e a gran voce che i politici stiano più “tra-la-gente” e meno “chiusi-nel-palazzo”. Insomma: delle dimensioni del problema si può discutere, così come delle sue cause. Che non si possa discutere della sua esistenza ce lo dicono i dati sul senato, ancora più espliciti di quelli della camera.
Settimana «cortissima» ancor più a Palazzo Madama, dove non si è mai tenuta una seduta il lunedì o il venerdì. In un paio di occasioni il presidente Renato Schifani ha provato a richiamare i colleghi in altrettante conferenze dei capigruppo, ma tutto si è chiuso lì. E dire che per la Camera alta i numeri raccontano come dal primo gennaio si sono tenute sì 70 sedute, ma solo perché lì ne vengono calcolate due se quella mattutina si prolunga al pomeriggio. Tant’è vero che le ore lavorate risultano essere 179, in queste prime 19 settimane. Media invidiabile per qualsiasi lavoratore: 9 ore a settimana. E i progetti di legge approvati nel 2010 sono stati infatti 19, quindici di iniziativa governativa, ovvio, appena quattro parlamentare.
Alla base di questa situazione ci sono essenzialmente due problemi. Il primo è la nota e atavica “pigrizia” dei parlamentari italiani, più volte raccontata negli ultimi anni. Il secondo è l’altrettanto nota tendenza di questo governo a passare il minor tempo possibile in parlamento, sfruttando al massimo i decreti legge e poi magari ponendo la fiducia quando un provvedimento deve essere sottoposto al voto dell’aula.
L’opposizione protesta, ma i numeri la costringono all’angolo. «Ormai discutiamo per due giorni di provvedimenti che possono essere esaminati in mezza giornata, giusto per dare un’apparenza di attività – racconta il vicecapogruppo Pd Gianclaudio Bressa – Decine di nostri ddl mai approdati in aula e una totale incapacità del governo di curare provvedimenti che non siano quelli che interessano personalmente il premier».