No, le olimpiadi no.
Candidare una città italiana a ospitare i giochi nel 2020 costerà almeno 40 milioni di euro, e saranno soldi mal spesi
Domani il consiglio nazionale del CONI sceglierà quale sarà la città italiana candidata a organizzare i giochi olimpici del 2020 (i giochi del 2012 si terranno a Londra, quelli del 2016 a Rio de Janeiro). Le candidature italiane iniziali – e ufficiose – erano addirittura cinque: Roma, Venezia, Bari, Palermo e Romagna. Le candidature di Roma e Venezia sono le due rimaste in piedi: quelle tra le quali il CONI si trova a scegliere. Bari e Palermo hanno ritirato la loro candidatura qualche mese fa, non essendo riuscite a mettere d’accordo tutti i soggetti coinvolti nel progetto, la candidatura della Romagna non è mai diventata niente di più della proposta di alcuni imprenditori locali.
Roma o Venezia, quindi. La procedura di formalizzazione della candidatura prevede che sia inviato al CONI un atto firmato dal sindaco e un dossier che descriva il progetto di candidatura nelle sue caratteristiche fondamentali. Sulla base di queste il CONI deciderà quale città rappresenterà la candidatura italiana alle olimpiadi del 2020. Il processo di selezione del Comitato olimpico internazionale (CIO) deve ancora iniziare, quindi non ci sono ancora candidature ufficiali: tra quelle che però hanno annunciato il loro interesse le più importanti sono Tokyo, Cape Town, Madrid, Lisbona e Toronto. Le candidature ufficiali dovranno essere formalizzate nel corso del prossimo anno, il verdetto del CIO arriverà nel 2013. L’assegnazione a Rio de Janeiro delle olimpiadi del 2016 rende un po’ più probabile l’assegnazione dei giochi a una città europea o africana.
Nel proporre la propria candidatura, Roma e Venezia hanno descritto la composizione del futuro eventuale comitato promotore, hanno fatto un preventivo delle spese che comporterà la candidatura ai giochi e la loro eventuale realizzazione, hanno comunicato quali soggetti – pubblici e non – vi contribuiranno economicamente.
Roma ha stimato in 42 milioni di euro la cifra necessaria a portare avanti la candidatura, sedici dei quali sono stati già spesi per la “pre-candidatura” presentata al CONI. La somma è stata messa a disposizione dal comune di Roma, dalla provincia e dalla regione, insieme ad altri soggetti pubblici e privati: l’Unione Industriali di Roma, la Camera di Commercio, la Federlazio (associazione delle piccole e medie imprese), l’ACER (associazione dei costruttori), la Federalberghi, l’ACEA e alcune aziende muncipalizzate come ATAC e AMA. “La componente di finanziamento pubblico”, si legge nel dossier, “non supererà, indicativamente, il 60% delle risorse del Comitato, nell’ambito di un budget finalizzato all’assoluto equilibrio fra costi e ricavi”.
Venezia stima in 44 milioni di euro la cifra necessaria per la candidatura, tredici per la “pre-candidatura” e trentuno per l’eventuale candidatura da presentare al CIO. Più vago l’elenco dei soggetti che vi contribuiranno: il dossier parla di “copertura finanziaria garantita congiuntamente da enti pubblici e privati; in particolare, il Comitato Promotore lancerà un programma di marketing territoriale che consentirà di promuovere l’immagine dell’eccellenza, della qualità, dell’innovazione, della cultura del nostro paese e del territorio, in Italia e nel mondo”.
Qualora le città dovessero essere scelte come organizzatrici, i costi si sdoppierebbero. Una parte viene garantita dal Comitato olimpico internazionale attraverso il ricavato della cessione dei diritti televisivi e le sponsorizzazioni: Roma stima di ricavarne oltre due miliardi di euro, Venezia più di un miliardo e mezzo. L’altra parte è quella che dev’essere garantita dalla città ospitante. Roma pensa di spendere circa quindici miliardi di euro, somma che sarà finanziata, si legge, “da soggetti pubblici e privati attraverso fondi, contributi, project financing e forme di partenariato pubblico-privato”. Venezia molto meno: settecento milioni di euro, dei quali trecento “relativi a infrastrutture già finanziate che saranno comunque realizzate indipendentemente dall’assegnazione dei Giochi”. Gli interventi previsti in caso di assegnazione dei giochi costeranno poco più di quattrocento milioni di euro: Venezia comunica che “saranno finanziati con fondi pubblici per 304 milioni e con fondi privati (project financing) per 131 milioni”. La gigantesca sproporzione tra i costi delle due candidature è il principale tema di discussione e rivalità tra le due città – tra quelli concreti: poi c’è la solita tiritera nord-sud – con Venezia che vanta la sobrietà e l’efficienza del suo progetto e Roma che – oltre a prevedere maggior pubblico e quindi introiti – promette la costruzione e la ristrutturazione di grandi e importanti strutture.
Si è discusso – e verosimilmente si discuterà molto ancora, da qui alla decisione finale del CIO – del senso e dell’opportunità di queste candidature: e di quanto queste, nonché un’eventuale assegnazione dei giochi, possano o no rappresentare una notizia positiva per le città e per l’Italia. I precedenti non aiutano a essere ottimisti. L’organizzazione dei mondiali di calcio del 1990 non lasciò al paese impianti sportivi di qualità, ma una lunga serie di scandali, processi per corruzione e infrastrutture lasciate a metà. La storia dei recenti mondiali di nuoto a Roma è dentro alle vicende di questi giorni su Anemone, Balducci, la “cricca” e gli appalti sui grandi eventi. La retorica per cui in questo paese non si può mai fare nulla perché verrà fatta male è perdente e autoalimenta i fallimenti. Per questo vogliamo che l’Italia diventi un paese in grado di ospitare dignitosamente e proficuamente un grande evento internazionale. Ora non lo è e non lo sarà da qui a pochi anni: altri sono i fronti su cui investire e con speranze di successo e ricostruzione.
Siamo dell’idea che le cose si debbano fare e si debbano fare bene. Ma non ci sembra che in questo momento l’Italia sia in grado di fare le cose; tantomeno di farle bene, ripetendo quanto accaduto con le olimpiadi invernali di Torino grazie a una rara – per questo paese – combinazione di lucidità, saggezza e buona amministrazione su una misura di intervento controllabile. I limiti dell’Italia nella realizzazione dei grandi eventi non sono un segreto per nessuno, ed è cieco o interessato chi se li nasconda. Soltanto pochi anni fa l’Italia si vide preferire Polonia e Ucraina per l’organizzazione degli europei di calcio del 2012, e alla fine di questo mese potrebbe accadere lo stesso per gli europei del 2016. Le motivazioni sono sempre le stesse: scarsa trasparenza nella gestione degli appalti, infrastrutture inadeguate, mancanza di garanzie sul fronte della sicurezza, e persino il decennale “troppi scioperi” tra i lavoratori. Il Comitato olimpico internazionale lo sa benissimo, ed è questa la ragione per cui difficilmente assegnerà a una città italiana l’organizzazione dei giochi olimpici 2020: le ospiterà un paese capace di farlo degnamente. Noi ci stracceremo le vesti, lamenteremo l’ennesimo complotto internazionale ai danni dell’Italia, ci avviteremo intorno a polemiche e recriminazioni, e nel frattempo avremo speso – e qualcuno avrà incassato – oltre cinquanta milioni di euro che potevano trovare migliore destinazione.