“Nella vita vera si chiamano sciacalli”
"Di fronte alla tragedia c'è sempre qualcuno che cerca di trarne qualche profitto"
Il Secolo d’Italia contro Calderoli e Di Pietro, Filippo Facci su Libero contro Bersani, ma l’argomento è lo stesso: le frasi a effetto dei politici che si accorgono della guerra solo quando muore un italiano. Tema di cui ha già scritto Francesco Costa sul Post.
Stefano Petroselli sul Secolo scrive che
Di fronte alla tragedia c’è sempre qualcuno che cerca di trarne qualche profitto. Nella vita vera si chiamano sciacalli, nel dibattito politico è meglio non dargli un nome: perché rubano molto di più di qualche cianfrusaglia, rubano l’anima di un paese, il suo coraggio, la sua autostima. Basta che arrivi una brutta notizia da lontano che questi personaggi mettono mano al computer per dare alle agenzie loro dichiarazioni piene di recriminazioni argomentative che, giuste o sbagliate, hanno il solo effetto di conquistare un po’ di visibilità.
Ieri ci ha pensato – viene da dire, come al solito – la Lega a cominciare le danze delle polemiche: “Al di là della perdita di vite umane che fanno spaccare il cuore – ha affermato il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli – bisogna verificare se i sacrifici servono. Spesso abbiamo espresso perplessità sull’esportazione della democrazia, ma ogni decisione va presa insieme al resto, non può essere unilaterale. Vedremo a livello internazionale”.
Bossi è poi intervenuto per “zittire” Calderoli, affermando che si può discutere “se si è fatto abbastanza per realizzare ospedali e attivare l’economia di quel paese”, ma che scappare dall’Afghanistan sarebbe sicuramente una mossa sbagliata. Il Secolo passa poi ad attaccare Di Pietro:
Specularmente non potevano mancare anche nel centrosinistra: “In Afghanistan sono venute meno le ragioni per cui la comunità internazionale ha deciso di inviare truppe, non si tratta più di difendere la democrazia ma di essere coinvolti in una guerra tra fazioni”, lo ha dichiarato Antonio Di Pietro. […] Siamo di fronte a una realtà che si è trasformata da lotta al terrorismo a guerra guerreggiata tra opposte fazioni. L’articolo 11, secondo comma, ci impone di non partecipare ad azioni di guerra ma solo di difesa e lì – conclude Di Pietro – non c’è più una realtà ben codificata da difendere, riteniamo sia in atto una guerra civile…». Un discorso più politico che “tecnico”, quello di Antonio Di Pietro, ma fatto in un giorno in cui la politica dovrebbe avere il coraggio del silenzio. Per non dare l’impressione dello sciacallaggio. Solo l’impressione, ovviamente…
Filippo Facci su Libero non chiama in causa Calderoli ma solo Bersani e Di Pietro:
Muore un soldato e subito “ritiriamoci”, non muore un soldato e chissenefrega: fine della politica estera dell’opposizione. Pierluigi Bersani, circa la guerra in Afghanistan, ha detto che occorre riflettere “come sta facendo il presidente Obama”: forse ignora che Obama ha triplicato i soldati ripetto a quelli spediti da Bush. Poi, vabbeh, c’è di Pietro: […] “Siamo passati dalla guerra al terrorismo alla guerra guerreggiata”. Chiaro. A casa, dunque. Parliamo di uno che nel 1999 era stra-favorevole alle truppe in Kosovo (disse che bisognava bombardare anche a Pasqua) e due mesi dopo divenne pacifista gettando dei fiori bianchi nell’Adriatico: “Si possono uccidere persone innocenti? Si può, dall’alto delle nuvole, buttare bombe a grappoli?”. Parliamo di uno che nel 2004 era stra-favorevole alle truppe in Iraq e che poi, dieci mesi dopo, riuscì a esporre la bandiera arcobaleno insieme a quella degli Stati Uniti prima di chiedere il nostro immediato ritiro: “La guerra in Iraq va definita come un’occupazione”.