La guerra del Nilo
Quattro nazioni africane chiedono di togliere all'Egitto il potere di veto sull'utilizzo delle acque
Quattro paesi africani hanno riaperto una questione geopolitica vecchia e bloccata da centinaia di anni. Rwanda, Etiopia, Uganda e Tanzania hanno firmato ieri un nuovo trattato riguardo “l’equa condivisione” delle acque del Nilo, nonostante l’opinione contraria di Egitto e Sudan, i paesi che oggi sfruttano maggiormente le acque del fiume.
I paesi che si affacciano sul bacino del Nilo sono nove. Quattro di questi sono quelli che hanno firmato il trattato in questione. Egitto e Sudan sono fortemente contrari, come abbiamo detto, e sono i due paesi – l’Egitto soprattutto – che da sempre sfruttano maggiormente le acque del Nilo. Il Burundi e il Congo non hanno partecipato ai colloqui sul trattato mentre il governo del Kenya, pur non aderendovi, ha diffuso un comunicato in supporto dei firmatari.
Le quattro nazioni vogliono di fatto togliere all’Egitto il potere di veto che dal 1929 esercita su tutte le attività e i progetti che riguardano il Nilo, in modo da potere utilizzare liberamente le sue acque per l’irrigazione e per produrre energia. E se i quattro paesi utilizzano toni molto morbidi nei confronti di Egitto e Sudan, i primi sono già passati alle minacce. Una settimana fa ministro degli esteri egiziano Ahmed Abul Gheit ha rilasciato una dichiarazione molto combattiva, sostenendo che i diritti sulle acque del Cairo rappresentavano una “linea rossa” e minacciando azioni legali in caso di azioni unilaterali (ove per unilaterali si intende: se noi non siamo d’accordo).
Dovesse diventare esecutivo, il nuovo accordo andrebbe a sostituire l’ultimo – stipulato nel 1959 – che concede a Egitto e Sudan il controllo di oltre il novanta per cento del Nilo. Le due nazioni temono che un’equo sfruttamento delle acque possa ridurre in breve tempo le dimensioni del bacino, specie considerati i progetti di irrigazione e produzione energetica che i quattro paesi hanno intenzione di realizzare. La parola a questo punto passa alla Nile Basin Commission, che esaminerà il contenuto del trattato e deciderà se approvarlo o respingerlo.