Egitto, Mubarak comincia a innervosirsi
Le contestazioni di El Baradei e dei suoi sostenitori stanno spazientendo il presidente
di Roberto Roccu
Ad appena cinque giorni dal guanto di sfida lanciato ad ElBaradei in occasione del tradizionale discorso ai sindacati, il presidente egiziano Hosni Mubarak ha dato mandato al governo di emanare un decreto che prolunghi per altri due anni lo stato di emergenza. Dov’è la novità visto che in Egitto lo stato di emergenza vige ininterrottamente dall’assassinio di Sadat? Ossia, dal momento in cui Mubarak è diventato presidente, 29 anni fa? La novità sta nel fatto che la minaccia terrorista è passata in secondo piano, per una volta, e che in questo caso l’obiettivo del provvedimento sembra essere prettamente politico.
Ma andiamo con ordine. In seguito alle richieste di sostanziale riforma del sistema politico avanzate dal suo più battagliero avversario politico, il premio Nobel per la Pace Mohamed ElBaradei, Mubarak si è ripreso il centro della scena politica egiziana con il tempismo dell’attore consumato. Durante il tradizionale discorso ai sindacati, posticipato quest’anno di qualche giorno rispetto all’abituale primo maggio (ufficialmente per impegni pregressi presi dal presidente, ma secondo rumours piuttosto diffusi e accreditati per via delle sue precarie condizioni di salute), il presidente ha portato un attacco frontale al movimento che si è raccolto intorno ad ElBaradei. Nello specifico, Mubarak ha affermato che “in questa fase delicata non vi può essere spazio per coloro che confondono il cambiamento con il caos”. Come riportato dal giornale di opposizione Al-Masry Al-Youm:
Il presidente ha sfidato i nuovi movimenti di opposizione che stanno emergendo a rendere espliciti i propri progetti politici, sottilineando che “slogan e parole d’ordine non sono una base sufficiente per ottenere il consenso degli elettori”.
“Per convincere la popolazione occorre lavorare parecchio ed elaborare programmi chiari allo scopo di risolvere i suoi problemi”, ha affermato, sostenendo che i gruppi di opposizione non hanno un programma preciso in merito ad investimenti, impiego, lotta al terrorismo e politica estera.
Ieri, appena cinque giorni dopo, arriva la proposta di un ulteriore giro di vite al sistema di sicurezza interno. Lo stato di emergenza conferisce alle forze dell’ordine estesi poteri di arresto, permette la sospensione dei diritti costituzionali e pone di fatto il silenziatore alle attività politiche non governative. E convince ben poco la rassicurazione del Ministro per gli Affari Legali Shehab, il quale promette che lo stato di emergenza verrà applicato solo per perseguire casi di terrorismo e di traffico di stupefacenti.
Considerato lo sciopero ad oltranza dei lavoratori che chiedono un aumento del salario minimo, fermo dal 1984 alla risibile cifra di 35 sterline egiziane al mese (poco piu’ di sei dollari), l’estensione dello stato di emergenza sembra l’ultima tappa di un piano chiaro: il pugno di ferro per scongiurare un rischio che sta assumendo i tratti di un’ossessione. Ovvero la saldatura tra richieste economiche e richieste politiche da un lato, e tra opposizione laica e opposizione islamista dall’altro. Solo la fusione di queste vertenze e di queste correnti potrebbe fornire ad ElBaradei quel supporto di massa che ancora evidentemente gli manca, e che gli impedisce di essere qualcosa di piu’ di una fastidiosa mosca che ronza intorno al banchetto del faraone.