“Non tutti hanno una lapide”
Il primo capitolo di Il raccolto rosso 1982-2010
di Enrico Deaglio
Palermo, 1987. Giravamo in elicottero sopra la città. Mare, giardini – la parola con cui i siciliani chiamano gli agrumeti – cemento; la sontuosa nettezza delle coste, il disordine sfacciato dei villini incompiuti.
Avevamo volteggiato anche sopra la famosa contrada Ciaculli e sul «fondo Favarella» del papa della mafia Michele Greco. Non distante dalla casa del papa, sulla strada che porta al quartiere Brancaccio, ci eravamo fermati sopra una villa. Dietro una grande inferriata, una costruzione pretenziosa, con archi, porticati, palme, cortiletti. Scendemmo di quota. La villa, non ultimata, appariva «vandalizzata»: i vetri erano rotti, gli infissi scardinati. Sul grande cancello di ferro battuto, con la vernice era stato scritto un insulto: «Suca».
«È la villa che si stava facendo costruire Totuccio Contorno» mi spiegò il pilota. «Da quando si è pentito, gliel’hanno sfregiata. È abbandonata, da anni non ci viene nessuno.»
Totuccio aveva fatto coscienziosamente il soldato della mafia, ma poi, all’inizio della «grande guerra», era diventato pericoloso per i suoi sodali. Per stanarlo avevano ucciso ben trenta persone a lui vicine, tra parenti e amici. Lo arrestarono a roma nel 1982 e decise di parlare l’anno successivo, poco dopo Tommaso Buscetta. Le sue deposizioni al maxiprocesso mandarono in galera centinaia di mafiosi. Visse per un po’ protetto dalla polizia, poi se ne scappò e tornò a Palermo. Lui, la partita non la considerava affatto chiusa; inoltre voleva controllare che cosa ne era stato della villa, il sogno della sua vita. Probabilmente riuscì a vederla, prima di essere nuovamente arrestato. Con quell’insulto sul cancello padronale.
Quando tornammo a terra, all’aeroporto di Boccadifalco, il colonnello Trozzi, di Pescara, mi mostrò l’album in cui erano ricordati tutti i servizi resi dagli elicotteristi della polizia: avevano ritrovato dispersi del terremoto in Irpinia, salvato naufraghi, trasportato bambini da operare urgentemente. Il tutto era custodito in tanti ritagli di giornale conservati sotto la plastica. Nell’ultima pagina dell’album, un breve testo, scritto con una grafia molto incerta. Eccolo
Giovinotti e signorini che dovete maritari, un consiglio da pigliari per non farivi inchanari. Che una giovani sfortunata per non avere nessun prezzo fu da un giovani inchanata. Il suo innamuratu è pattitu per la Merica, ma dopo cinque anni è tornatu in Italia per sposare unaltra giovani, e lora la ragazza era già stata inchanata, si prepara un bel vestitu ma da giovani eleganti e un mazzi di fiori e si presenta ladavanti ma con modi preziosi e parlandoci damore nel petto gli sparò.
Così lei in galera e lui morto. Così siamo pari.
«Strana storia, vero?» mi disse Trozzi. «Questo foglio l’ho trovato nel corso di una perquisizione alla ricerca di un latitante. Entrammo in una casa abbandonata, un “covo freddo”, a Ciaculli, vicino a dove siamo stati poco fa. Non c’era nient’altro di particolare in quella casa. Il foglio scritto a mano e i materassi per terra.»
Già, i materassi: «si va ai materassi», «siamo ai materassi». L’espressione viene dal film Il Padrino. Quando le famiglie mafiose cominciano le loro periodiche guerre, occorre che i soldati cambino indirizzo e si tengano pronti. In anonimi appartamenti vuoti, dove ci sono solo materassi per terra. Lì si aspetta. Doveva essere stato così anche in quel «covo freddo» di Ciaculli: tre o quattro uomini in una stanza, con i materassi per terra. Per proteggere qualcuno. Per sorvegliare qualche movimento. oppure chiusi dentro perché a rischio di essere ammazzati.
Quelle poche righe – il «manoscritto di Ciaculli» – costituiscono uno dei pochi scritti provenienti dal mondo della mafia. Chissà di chi parlava l’estensore. Di sua sorella? Di un suo cugino? Di una storia che non lo riguardava, ma che lo aveva colpito?
E l’autore del manoscritto di Ciaculli, che fine avrà fatto? Il testo è databile ai primi anni ottanta, ai tempi della «grande guerra» di Palermo. Si può immaginare che fosse un giovane, ma probabilmente non un giovanissimo. Di scarsissima istruzione, però affascinato dallo scivolare della penna sulla carta. Me lo immagino triste, fatalista. Forse è in una delle fotografie di mafia, quelle che mostrano cadaveri sulle strade o riversi dentro le automobili. Forse è scomparso, un desaparecido. In Sicilia, i cadaveri che contano sono solo quelli eccellenti. La «malacarne» può scannarsi a piacimento. Di tutti quei morti l’Italia non ha mai voluto occuparsi. Vengono da un altro mondo, che con il nostro ha pochi contatti. Appaiono sui giornali, quando appaiono, in poche righe. Vengono «da sotto», si ammazzano tra di loro. Sono sepolti con riti antichi. In un cimitero di reggio Calabria ho visto una tomba in cui il morto, un ragazzo, è raffigurato a cavallo. Era un ragazzo di malavita, ammazzato. Gli piaceva molto andare in motocicletta, così, per nobilitarlo, i parenti lo hanno messo in groppa a un destriero.
La Sicilia, la Calabria, la provincia di Napoli, negli ultimi dieci anni sono state il teatro di una strage. ho provato a mettere in colonna i morti delle guerre, dei regolamenti di conti, delle faide, delle «lupare bianche» e sono arrivato – si fa fatica a crederlo – a un totale di diecimila persone. Una guerra civile che l’Italia è riuscita a tenere nascosta, ma che non ha paragoni con nessun’altra parte d’Europa. La guerra irlandese, con i suoi tremila morti in vent’anni, appare poca cosa. La lotta per l’indipendenza dei Paesi Baschi ancora più minuscola. Ai bordi dell’Europa, la stessa Intifada palestinese, peraltro ogni giorno seguita, quasi istigata, è ben più piccola e circoscritta della strage nel sud dell’Italia. C’è voluta la guerra civile nella ex Jugoslavia per costringerci a ricordare come cominciano le guerre e come poi sia impossibile fermarle. Da noi nessuno ha voluto vedere, o capire. Nessuno ha pensato che si dovesse intervenire. Quei «morti degli altri», quei morti lontani hanno però fatto da concime alla ricca Italia degli anni ottanta. hanno proceduto di pari passo aumenti di faide e aperture di sportelli bancari; regolamenti di conti ed espansione edilizia; lupare bianche e centri commerciali, sottoscrizione di Bot, consumi e benessere crescente.
Questo libro si occupa del periodo che va dal 1982 al 1993, racconta di quello che ho visto percorrendo i gironi bassi. Racconta della mafia e del lungo inganno, del lungo sonno, del furbo silenzio che ne hanno consentito l’ascesa. Solo ora scopriamo che la mafia ha cambiato la nostra vita. In peggio. Scopriamo anche che il sud della mafia e il nord delle tangenti sono mondi pericolosamente contigui. In queste pagine compaiono uomini che – per scelta, per caso o per mestiere – sono venuti a trovarsi, dimenticati o abbandonati, su un fronte di guerra non dichiarato, a far la parte dei disturbatori. Compaiono assassini sfrontati, vittime inconsapevoli, spettatori con troppi alibi. Molte persone sono morte in silenzio, e dopo brevi lamenti o deprecazioni sono state dimenticate. Altre sono state esaltate solo dopo la morte. Non tutte hanno una lapide. Ci sono anche i protagonisti di una nuova, aggressiva e cupa Italia, di una nuova classe sociale nata senza storia dal cimitero della guerra civile del sud. I loro tic, le loro ambizioni, in genere modeste, ma perseguite con ferocia. I percorsi del loro denaro.
Raccolto rosso (Red Harvest) è un romanzo dello scrittore americano Dashiell Hammett, scritto nel 1929. La trama è semplice. Un detective arriva nella cittadina mineraria di Personville dove, anni prima, il padrone aveva assoldato una banda di gangster per porre fine a uno sciopero dei minatori. Questi avevano svolto il compito, ma poi non se n’erano andati come da contratto. Al contrario, piano piano si erano presi la città. Quando il detective arriva, l’uomo che l’aveva assunto per fare pulizia è stato appena assassinato. Il detective potrebbe quindi andarsene, ma rimane. Nota che i poliziotti hanno la divisa in disordine, la barba lunga; che gli abitanti chiamano Personville «Poisonville», la città del veleno. Scopre che i gangster stanno cominciando a litigare tra di loro. Nei primi capitoli si susseguono una ventina di omicidi e compare una ragazza che ama solo i soldi, possiede un fascino irresistibile e ostenta calze smagliate. Il detective entra nella contesa e dà una mano alla progressione dei delitti, fino alla «tabula rasa» finale: il raccolto rosso. rosso sangue, appunto. Il libro ebbe molto successo negli Stati Uniti, dove è considerato un classico dell’indagine sulla «corruzione e sulla violenza presenti nella società americana». In Italia è stato pubblicato con il titolo Piombo e sangue e non è molto conosciuto. Era presente però nelle librerie di Leonardo Sciascia e di Giovanni Falcone; e a tutti e due, senza sapere l’uno dell’altro, accadde di prevedere un futuro «raccolto rosso».
(Il raccolto Rosso 1982-2010 è il nuovo libro di Enrico Deaglio: questo è il primo capitolo)