Antanas Mockus, il Cappellaio Matto
Il Partito Verde di Antonio Mockus è in testa ai sondaggi con il 34% delle preferenze
di Elena Favilli
Quando era sindaco di Bogotà, Antonio Mockus si travestì da Superman e scese in strada a staccare tutti i manifesti che trovava sui muri per insegnare ai cittadini a rispettare gli spazi pubblici. Oggi il matematico e filosofo colombiano di 58 anni leader del Partito Verde è il protagonista di quella che Semana ha definito la campagna elettorale sudamericana più emozionante dai tempi di Lula in Brasile.
Il 30 maggio in Colombia si vota per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. L’attuale Presidente Alvaro Uribe è alla fine del suo secondo mandato e non potrà essere rieletto.
I colombiani erano preparati a una campagna elettorale pigra e prevedibile. Fino a due mesi fa – prima che la Corte Costituzionale respingesse il tentativo di Uribe di candidarsi per la terza volta – il quadro si riduceva alla convinzione che Uribe avrebbe di nuovo vinto al primo turno, come aveva fatto nel 2002 e nel 2006. O che, in caso contrario, si sarebbe trattato solo di trovare il candidato più idoneo come successore dell’attuale Presidente.
Nonostante il candidato espresso dal partito di Uribe – Juan Manuel Santos – sia molto forte, l’onda verde guidata da Antonio Mockus sta complicando notevolmente le cose. Gli ultimi sondaggi lo danno in testa al 38%, seguito da Santos (Partito U) al 34% e da Noemi Sanin (Partito Conservatore) all’11%. Se le cose resteranno così molto probabilmente il primo turno non basterà.
Secondo l’Economist, l’ascesa del Partito Verde di Mockus è dovuta a una combinazione di diversi fattori:
Mockus è diverso in molti modi. Figlio di immigrati lituani, la sua barba gli dà l’aria di un pastore baltico. E’ famoso per la sua onestà e intransigenza nei confronti della corruzione e della politica sporca. Eletto due volte sindaco della capitale Bogotà, ha sempre snobbato i partiti tradizionali. Ripete in continuazione che la vita e i fondi pubblici sono entrambi sacri e che combattere la violenza che affligge il Paese deve essere fatto secondo le regole della democrazia legalitaria e senza scorciatoie.
La candidatura di Mockus si è poi rafforzata da quando l’ex sindaco di Medellìn Sergio Fajardo – anche lui professore di matematica – ha annunciato che correrà al suo fianco per la vicepresidenza. Entrambi sono molto apprezzati per aver governato le loro rispettive città con grande trasparenza e rappresentano quella politica locale rivoluzionaria che secondo l’Economist “è riuscita a trasformare alcune delle più grandi città colombiane grazie a un mix di responsabilità fiscale e innovazione”.
Di formazione filosofica europea, allievo di Jürgen Habermas e del teorico della post-modernità Jean Francoise Lyotard, parla lentamente e cita spesso Kant e Kierkegaard. In passato si era fatto notare per alcune inziative pubbliche clownesche: mostrare il sedere agli studenti che lo contestavano quando insegnava alla Universidad Nacional, usare i mimi per insegnare ai taxisti di Bogotà a non passare col rosso e sposarsi in un circo a cavallo di un elefante.
Santos, dal canto suo, conta sul prestigio conquistato nella lotta alle FARC come Ministro della Difesa. Durante i tre anni del suo mandato è stato coinvolto in alcune delle operazioni più decisive della lotta contro i guerriglieri, incluso quella che portò alla liberazione di Ingrid Betancourt e di altri 14 ostaggi. E rimprovera a Mockus di essere un candidato troppo debole per una battaglia di questo tipo.
Ma secondo Semana in un Paese con mezzo Parlamento inquisito per corruzione, la battaglia per le presidenziali non si gioca solo sulla lotta alle FARC:
Santos ha il profilo dello statista, conosce i problemi e ha molta esperienza, ma la sua appartenenza alla macchina politica tradizionale lo allontana dagli elettori giovani e spalanca le porte ai sostenitori dell’onda verde.
“Legge, morale e cultura” sono i capisaldi della campagna elettorale che Mockus sta conducendo puntando soprattutto su giovani e social network. Ma a sinistra lo accusano di lasciare sullo sfondo questioni fondamentali come l’ingiustizia sociale, l’impunità o la sudditanza agli Stati Uniti e di avere un programma che, legalità a parte, non si discosta poi molto da quello dei candidati tradizionali.
E poi c’è il capitolo sondaggi, che sono condotti solo su quella fetta della popolazione che può essere raggiunta al telefono e che quindi vive nelle città: secondo molti commentatori lo zoccolo duro degli elettori è ancora quello delle zone rurali, dove il Presidente uscente Uribe è letteralmente venerato.