Tintin, il Congo e l’ipercorrettezza
Un congolese ha portato in tribunale il fumetto "Tintin in Congo", accusandolo di razzismo
Mbutu Dieudonné, congolese di nascita e cittadino belga da anni, ha portato in tribunale Tintin con l’accusa di razzismo. Dopo una lotta iniziata tre anni fa e una lettera senza risposta inviata al re belga Alberto II, mercoledì scorso Dieudonné ha visto in parte realizzarsi l’obiettivo dei suoi sforzi: un processo in direttissima al volume “Tintin in Congo”. La decisione definitiva sul destino del fumetto sarà presa nei prossimi giorni.
Il fumetto, uscito tra il 1930 e il 1931, racconta la colonia del Belgio in Congo ed è il secondo dei ventiquattro episodi de “Le avventure di Tintin”, la serie che ha reso celebre il designatore Hergé — pseudonimo di Georges Remi — fumettista belga nato nel 1907 e morto a settantasei anni nel 1983.
L’accusa avanzata da Dieudonné si basa sul ritratto che il fumettista fa dei nativi congolesi, dipinti come stupidi e adoratori dell’uomo bianco arrivato per salvarli. Non è la prima volta che le avventure di Tintin in Congo suscitano polemica: nel luglio del 2007, in seguito a una lamentela della Commissione per l’uguaglianza razziale, la catena di librerie inglese Borders ha spostato il fumetto dalla sezione per bambini a quella per adulti; lo stesso anno la Brooklyn Public Library lo ha inserito in una lista di libri per bambini consultabili solo su richiesta.
Lo stesso Hergé, che ha scritto e riscritto l’episodio più volte, definì poi quella storia “un peccato di gioventù”. Il fumettista disse di essere stato influenzato dalla visione ingenua dei colonialisti del tempo, senza aver mai avuto l’intenzione di essere offensivo nei confronti dei congolesi.
Anna Jolis del Wall Street Journal, in vista della sentenza del tribunale che deciderà se proibire o meno il fumetto, si chiede perché nascondere un pezzo di storia belga. Tintin — lui, il giovane reporter — non è mai offensivo o violento. A essere violenta è invece l’immagine che i belgi avevano dei congolesi e della colonia, in linea, scrive la giornalista, con il regime barbaro che solo trent’anni prima della pubblicazione il re Leopoldo II avevano instaurato in Congo.
Il Belgio ha schiavizzato e usato il Congo, e quell’episodio di Tintin ce lo ricorda. Perché nasconderlo e negarlo?
Da South Park a Socrate, persone sagge ci hanno ricordato che l’unica parola che ha bisogno di essere difesa è quella che offende. Cancellare Tintin potrebbe rendere contento per un po’ qualche congolese (anche se la maggior parte di loro ha problemi più grandi), e il senso di decoro che ci siamo auto-assegnati ne sarebbe eccitato. Ma non cancellerebbe la storia del Belgio in Africa centrale.