Architettura terapeutica o vanitosa?
I Maggie's Cancer Caring Centres, progettati per i malati di cancro da architetti superstar
di Giulia Balducci
Quanto conta davvero la forma di un edificio? Qual è il reale rapporto tra la struttura di un edificio e la sua funzione? Rowan Moore, sull’Observer, si occupa della questione e propone come esempio il caso dei Maggie’s Cancer Caring Centres.
I Maggie’s Cancer Caring Centres sono strutture private e offrono ai malati di cancro cure e attenzioni che vanno oltre i trattamenti farmacologici. L’attività dei centri si svolge all’interno di edifici progettati da architetti contemporanei di fama.
I centri prendono il nome dalla loro ideatrice, Maggie Keswick, che, dopo aver ricevuto la diagnosi di cancro allo stadio terminale, si trovò a riflettere sull’atmosfera deprimente del luogo dove aveva ricevuto la notizia, e su quella degli spazi in cui, successivamente, attendeva le cure: “illuminazione al neon, spazi chiusi senza finestre e sedie vecchie e scomode accostate ai muri: ogni cosa contribuisce a indebolire il paziente nel fisico e nella mente”.
Keswick comprese, in quella circostanza, che i pazienti avevano bisogno di spazi destinati non soltanto alle cure mediche, ma anche alla condivisione di paure e speranze con gli altri, e con persone che avessero vissuto la stessa esperienza. I Maggie’s Centres nacquero come spazi dedicati a ricevere conforto, compagnia e consigli, per riflettere e passare il tempo, ed offrono reti formali ed informali di supporto per affrontare ogni genere di difficoltà che i malati di tumore possono incontrare: dal trovare una parrucca accettabile al tenere sotto controllo i debiti che crescono.
Finora sono stati costruiti sei centri, uno a Londra e cinque in Scozia; ogni centro è unico, e alcuni sono stati progettati da architetti di fama come Frank Gehry, Zaha Hadid e Richard Rogers. La progettazione dei prossimi sei centri previsti coinvolgerà, tra gli altri, l’OMA di Rem Koolhas, Foreign Office Architects, Piers Gough e Richard MacCormack. Ogni centro, pur rivendicando un’identità indipendente, sorge nell’area di ospedali in cui siano presenti riconosciuti reparti oncologici.
A sostegno del progetto si sono impegnati Michelle Obama, Bob Geldof, Sam Taylor-Wood, Sara Brown,
Entrando nei Maggie’s Centre, spiega Rowan Moore, si coglie la forza dell’idea da cui si sono sviluppati: tutti i centri sono spaziosi e luminosi, ma confortevoli e accoglienti, nella scelta del mobilio e dei colori. Nessuno degli operatori indossa uniformi, è difficile distinguere i membri dello staff dai pazienti e i loro parenti.
Il valore dei centri è evidente; meno ovvio è invece, secondo Moore, il contributo reso dalle espressioni creative degli architetti. Molto discusso, ad esempio, è il centro di Fife, progettato da Zaha Hadid e inaugurato da Gordon Brown nel 2006. L’interno è luminoso e chiaro, ma l’esterno dell’edificio è nero, spigoloso ed ostile. Ai critici che sottolineano come probabilmente i malati, già sconvolti dalla diagnosi ricevuta, non gradiscano di avere a che fare con una costruzione così strana ed oscura, la direttrice del centro risponde che, invece, la struttura si presta perfettamente ad un discorso metaforico, nel suo passaggio dall’oscurità dell’esterno alla luminosità dell’interno. “La sua peculiarità” spiega “è un buon argomento per cominiciare una conversazione”.
Il dibattito sull’effettiva utilità di strutture così particolari per i centri ha portato Charles Jenks (marito di Maggie Keswick e cofondatore del progetto Maggie’s Centres) a considerare l’opportunità di elaborare un disegno standard da replicare poi per tutti i centri, giungendo però alla conclusione elaborata da Laura Lee (amministratore delegato di Maggie’s Centres), secondo cui “Non possiamo diventare un McDonald’s della cura del cancro” soprattutto perché “un edificio che desta curiosità, che è vivo e vibrante è un segnale dato al mondo: è un posto da vedere e frequentare, e non un posto di cui vergognarsi. I malati di cancro hanno la sensazione che tutti li evitino, quindi il fatto che l’edificio a loro dedicato sia oggetto di attenzioni e curiosità è importante”.
Senza contare che la partecipazione al progetto di architetti di fama aiuta molto nella raccolta fondi. Jenks sostiene che l’associazione se ne sia accorta per caso dopo l’apertura, nel 2003, del centro di Dundee disegnato da Frank Gehry, vecchio amico di Jenks.
Moore auspica, per il futuro, un allargamento della rete di partecipazione che arrivi ad includere architetti giovani, meno conosciuti, capaci di ottenere risultati efficaci in modo meno spettacolare.
“I Maggie’s Centres non sono più qualcosa di straordinario ma eccezionalmente unico: rappresentano invece un modello funzionante di cura del paziente, che potrebbe essere ripetuto ovunque, ed esteso al trattamento di malattie diverse dal cancro, per cui ancora non esiste nulla di simile. Gli edifici per questi centri”, conclude Moore, “dovrebbero essere ugualmente speciali e singolari: ma non hanno più bisogno di apparire come un oggetto da esposizione di architettura”.