Di chi è la colpa?
Il governo e la BP si accusano a vicenda per la lentezza delle operazioni dopo il disastro
Per ora, più che un’indagine sembra iniziata una gara a darsi la colpa. Il governo statunitense ha già dichiarato colpevole la BP — la multinazionale che controlla la piattaforma petrolifera affondata — e ha intenzione di farle pagare i costi dell’incidente. La BP si è difesa sostenendo di aver fatto tutto il possibile dall’inizio, e ha puntato il dito contro la lentezza dell’intervento del governo, che avrebbe semplicemente aspettato una soluzione dall’azienda. Gli ambientalisti e l’industria ittica accusano entrambi.
Ricostruiamo gli avvenimenti. Come riportato dall’Independent, l’anno scorso il governo americano chiese alle compagnie petrolifere di alzare i propri standard di sicurezza. Il 14 settembre 2009 la BP scrisse al governo una lettera che nei prossimi giorni farà discutere.
La BP supporta le aziende che vogliono ridurre i rischi, gli incidenti e le perdite di petrolio, ma non condivide le nuove regolamentazioni proposte da questa legge.
In un documento (pdf) sempre destinato al governo, anch’esso dell’anno scorso, la BP aggiunse che incidenti di grande portata sono altamente improbabili. Dal canto suo, il governo non sembrò far nulla per insistere sul passaggio delle nuove regolamentazioni proposte.
Arriviamo al 20 aprile scorso, il giorno dell’esplosione sulla piattaforma al largo della Louisiana. Undici operai muoiono nell’incidente e, due giorni dopo, la piattaforma inizia ad affondare. Sia la BP sia il governo affermano di essere intervenuti tempestivamente e con il massimo dello sforzo possibile, ma sono contraddetti dalle loro stesse dichiarazioni di quei giorni.
Il 22 aprile l’Ammiraglio Mary E. Landry, l’ufficiale della Guardia Costiera a capo delle operazioni, sostiene che il petrolio in mare sembrerebbe essere solo un residuo dell’esplosione anche se, afferma Landry, non è chiaro cosa stia succedendo sott’acqua. Il giorno dopo, i funzionari affermano che non sembrano esserci perdite.
La BP dichiara che le perdite di petrolio sono “minime”, e afferma ancora — anche quando nei giorni seguenti si scopriranno le altre due falle e le stime delle perdite aumenteranno di cinque volte — di essere in grado di contenere il problema, dando per certa l’impossibilità del petrolio di raggiungere le coste. Il Dipartimento di Sicurezza Nazionale aspetta due giorni per dichiarare che l’incidente è “una perdita di rilevanza nazionale” e attivare una seconda unità.
Ora sia il governo sia la BP affermano di essere intervenuti in tempo. L’azienda petrolifera dichiara che, anche quando non si era a conoscenza della portata del danno, aveva già mobilitato tutte le forze umane ed economiche a sue disposizione. Le spese stimate dall’azienda sono di 6 milioni di dollari al giorno.
Ad aumentare le responsabilità della BP si è scoperto che la cementificazione della struttura in cui è avvenuta l’esplosione era stata terminata solo poche ore prima dell’incidente. In più, una legge del 1990 — proposta e passata in seguito al disastro ecologico della Exxon — dice che, se i responsabili delle perdite sono i proprietari della piattaforma, responsabile della pulizia del disastro è invece la Guardia Costiera, coadiuvata da altre agenzie federali.
Oggi Obama visiterà il Golfo, mentre cresce la preoccupazione per i danni che l’incidente potrà causare. Il petrolio sta iniziando in queste ore ad arrivare sulle spiagge della Louisiana e non si sa ancora quanto possano aumentare le perdite e quali possano essere le conseguenze sull’ecosistema della zona.
Le preoccupazioni sono sia ambientali che economiche. L’industria ittica è preoccupata per la morte della fauna marina — e teme che nessuno vorrà più comprare pesce contaminato. I responsabili del turismo sono preoccupati che nessuno vorrà più visitare le spiagge dove è passato il petrolio. E gli ambientalisti sono preoccupati su quanto il petrolio inciderà sul numero di uccelli, coralli e mammiferi del Golfo.