Che fine hanno fatto?
A che punto è e cosa fa il movimento verde in Iran, a quasi un anno dalla sua esplosione
Ve li ricordate? Ve li ricordate vestiti di verde, sfilare per le strade di Teheran? L’invasione dei messaggi su Twitter, poi gli improvvisi black out, le urla dai tetti? Vi ricordate di Neda Agha-Soltan e di tutti i personaggi della politica iraniana che imparammo a conoscere meglio, da Moussavi a Rafsanjani, da Karroubi a Khatami? Che ne è stato della cosiddetta “rivoluzione verde”? Le ultime grandi manifestazioni di protesta in Iran risalgono allo scorso febbraio, precisamente al giorno del 31simo anniversario della Rivoluzione Islamica. Cos’è successo, da lì a ora, e cosa potrà succedere nei prossimi mesi?
Mohammad Ayatollahi Tabaar tenta di rispondere a queste domande in un’analisi su Foreign Policy, sostenendo che nonostante lo sforzo repressivo del governo il movimento è ancora vivo: se ne abbiamo sentito parlare poco, è perché in questa fase sta perseguendo una strategia differente dalla semplice protesta. Non prima di aver fatto una premessa, però: è certamente esagerato supporre che il movimento verde – così spontaneo, orizzontale e decentralizzato – abbia una strategia omogenea e univoca. Quello che sappiamo e possiamo supporre è frutto delle decisioni e degli orientamenti dei suoi punti di riferimento, dei suoi leader, a cominciare da Moussavi e Karroubi.
Il movimento verde ha già il sostegno di milioni di giovani, molti dei quali vogliono cambiamenti radicali. Ma Moussavi e gli altri sono concentrati su quelle che loro chiamano “la zona grigia”: un’area composta da associazioni religiose e fazioni tradizionali che non sostengono ancora il movimento verde ma sono piuttosto insoddisfatte del governo di Ahmadinejad. Giurando fedeltà incondizionata ai principi della Rivoluzione islamica, i leader del movimento verde stanno tentando di attrarre – o quantomeno rendere neutrali – questi “conservatori moderati” e diverse figure influenti nel mondo politico e religioso.
L’obiettivo di questa strategia è chiaro: farsi strada nella società iraniana, emanciparsi dallo status di movimento rumoroso ma minoritario, radicarsi in profondità così che quando arriverà la prossima crisi – occhio all’anniversario delle ultime elezioni, per esempio – il loro sostegno possa essere ancora più profondo e radicato. Ma appunto: quando arriverà la prossima crisi?
Se l’anno scorso furono le elezioni e i brogli a portare per le strade milioni di persone, il prossimo round potrebbe scattare a causa dei problemi economici e sociali dell’Iran, prima fra tutte l’inflazione astronomica che colpirà il paese se davvero Ahmadinejad dovesse tagliare una serie di sussidi primari, come ha promesso. Il fallimento delle politiche del governo può creare grande insoddisfazione proprio negli strati sociali più poveri che finora sono stati il suo principale bacino di consenso.
Molti riformisti infatti pensano che a fronte di un fallimento di Ahmadinejad e del suo governo, gli stessi ayatollah – i più moderati, almeno – potrebbero decidere di dare apertamente il loro supporto a un’ala politica più centrista e aperta. Secondo Tabaar questa speranza sarebbe confortata dalla storia recente dell’Iran, il cui sistema politico si è sempre basato, dalla Rivoluzione in poi, sul raggiungimento di un equilibrio politico tra conservatori e riformisti, e che invece da qualche anno a questa parte ha semplicemente eliminato la sua ala moderata. Una svolta che l’ayatollah potrebbe non permettersi: da una parte ha contribuito all’esplosione delle proteste del movimento verde e del supporto che questo ha ricevuto da personaggi come Rafsanjani o lo stesso Karroubi, dall’altra ha gettato benzina sul fuoco di un nuovo conflitto, tutto interno al regime, tra il potere militare e quello religioso.
Tabaar non crede però che, almeno nel breve periodo, il movimento verde possa riuscire a ottenere significativi e radicali cambiamenti nella politica iraniana.
Molti sostenitori del movimento verde desiderano cambiamenti radicali e magari un sistema politico definitivamente secolarizzato. Per adesso, però, continuano a sostenere gli attuali leader dell’opposizione, che non sono dei rivoluzionari, nella speranza che un passo alla volta si possa arrivare a cambiamenti più massicci e profondi. Hanno una forza e un vantaggio: il tempo è dalla loro parte, e l’escalation delle tensioni potrebbe a un certo punto costringere l’ayatollah Khamenei a scegliere tra mettere in crisi l’intera nazione o abbracciare posizioni più riformiste e moderate. Intanto il movimento verde fa bene a lavorare per rafforzare il suo consenso nelle “zone grigie” e tenersi pronto: gli serve anche per non diventare grigio lui.