Sofferenza amaranto
All'indomani della retrocessione del Livorno, Paolo Virzì analizza le ipotesi di rinnovamento. Non solo del Livorno
di Paolo Virzì
Il Livorno Calcio ha perso il suo campionato, il cui unico obiettivo era la permanenza in serie A. Adesso è il momento di uno scatto di orgoglio e di coraggio, bisogna cambiare tutto, senza più indugi e senza farsi dettare l’agenda e la formazione dalle pagine del Tirreno, quotidiano del gruppo Repubblica-Espresso che già in passato ha condizionato in modo nefasto le performances elettorali del Centrosinistra con o senza trattino. Finita l’era Spinelli è il momento del Papa Straniero e ovviamente Nichi Vendola è in pole position, per il suo legame con la sinistra radicale, e con le narrazioni umanistiche e socialisteggianti che tra i tifosi amaranto, imbevuti fin dall’infanzia dalle romanze di Pietro Mascagni, suscitano sempre il loro romantico fascino.
Ma non dobbiamo correre il rischio di cadere anche noi de Il Post, come già certe trasmissioni sportive di Rai Tre, nel luogo comune nostalgico di una curva filosovietica, di una gradinata post-bordighista e di una tribuna para-togliattiana: il tifoso amaranto moderno è riformista, aperto alle tematiche del merito e della mobilità sociale di una società avanzata. Ecco che allora anche Luca Cordero di Montezemolo, che da una parte incarna la forza tranquilla dei ceti produttivi e dall’altra la dolcezza del vivere che ben si adatta col clima di una città di mare, potrebbe inaugurare un nuovo ciclo importante e duraturo. Certo si tratta innanzi tutto di modificare pesantemente l’organico e la leadership politica, a cominciare dall’attacco.
La vecchia gloria Cristiano Lucarelli rappresentava bene il radicamento nel territorio, meglio di Cota in Piemonte e di Zaia nel Veneto, ma in questo momento sconta la poca familiarità con i nuovi linguaggi ed il moderno networking: basti pensare che invece di aprire anche lui un blog su WordPress o sul Cannocchiale, o farsi fare almeno dai figlioli una pagina di fans su Facebook, ha fondato un quotidiano di carta chiamato Corriere di Livorno, che non vien letto nemmeno dalle clienti del centro abbronzatura di sua moglie. E che tiene inutilmente on-line un sito-web nella cui home-page D’Alema risulta ancora Presidente del Consiglio e Walter Veltroni segretario dei Diesse. Inoltre Cristiano, al quale pure vogliamo molto bene, e che in passato, rinunciando al famoso miliardo, ai colori amaranto ha dato moltissimo, quest’anno ha segnato poco o nulla. E sembra aver problemi di condizione e d’infermeria, oltre che di un pessimo rapporto con gli arbitri. Servono linfa nuova e nuovi linguaggi.
Meglio allora, là davanti, l’audace tridente Serracchiani-Civati-Renzi, con la loro carica di fervore e di forza comunicativa, già sperimentata da Santoro. Meglio un outsider come Ivan Scalfarotto, che non è andato in Russia per farsi tatuare il nome di Che Guevara in cirillico, ma per dirigere il personale di una banca privata, e la cui spiccata sensibilità alle tematiche civili potrebbe affascinare le spavalde torme di ultrà della Curva Nord in vena di profondi ripensamenti d’orizzonte culturale. Stesso discorso vale per Ciccio Tavano, che coi suoi 24 gol della scorsa stagione aveva guidato la fanfara della promozione trionfale in seria A e che invece quest’anno si è impantanato sulle fasce, forse costretto dallo schema rinunciatario di Serse Cosmi, o dal farraginoso meccanismo delle primarie di coalizione che lo ha esposto alla pressione ed ai ricatti dei terzini e degli stopper delle squadre avversarie.
Se proprio il Livorno desidera un bomber originario della provincia di Caserta meglio puntare direttamente su Roberto Saviano, il cui carisma è indiscusso e secondo solo a quello del mitico numero 10 Igor Protti, l’eroe della promozione in seria A del 2003. O al limite sul contributo spiazzante di un talento laico come lo scrittore-sceneggiatore Francesco Piccolo, casertano doc oltre che arguto elzevirista per l’Unità della livornese Concita De Gregorio, noto anche per la sua capacità di attrarre simpatie bipartisan, come quelle dei moderati-liberal-teodem del Foglio di Ferrara. È il momento insomma di ripensare tutto: modulo, tattica, mentalità, capacità di suscitare consenso. Invece di attardarsi su formule difensiviste come la Convergenza Repubblicana, o attendere le mosse involute di un Gianfranco Fini, l’appoggio insidioso dell’Udc di Casini e quello insignificante dell’Api di Rutelli e Tabacci, meglio accelerare con decisione la prospettiva di elezioni anticipate, con la speranza d’intercettare il voto dei delusi, degli astenuti e provare a vincere anche qualche partita in trasferta.
Difficile tuttavia immaginare un’intesa a breve termine con i giustizialisti di Di Pietro, dal momento che i rapporti della tifoseria livornese con la magistratura democratica e più in generale con l’ala giustizialista dell’ex-Unione, risentono del rancore per gli svariati decreti di diffida o Daspo imposti ai propri ultras più carismatici ed illustri, come Lenny Bottai e Paolone Basòla, costretti ogni domenica a timbrare il cartellino in Questura e a seguire la partita dal balcone di un conoscente dell’Ardenza che abita ad un isolato dall’Armando Picchi.
Di certo non c’è più tempo da perdere. Il cambiamento deve iniziare da domattina, in tutti i circoli ed in tutte le polisportive. Perché oggi è il giorno della sconfitta, seppure al novantacinquesimo, per due pali ed una traversa, aggravata oltretutto dalla notoria scarsità di mezzi di comunicazione e di budget societari rispetto alle squadre avversarie. Ma il Livorno deve saper trovare, di nuovo, al più presto, le risorse di energia e le proposte per candidarsi alla promozione in serie A e al governo dell’Italia. E tornare finalmente a vincere. Almeno contro il Pisa.