L’università ricompensa il DNA degli Havasupai
I campioni genetici, raccolti per curare il diabete, sono poi stati usati per altre ricerche
Nel 1989, Edmond Tilousi della tribù indiana degli Havasupai chiese aiuto a un antropologo dell’Arizona State University che aveva studiato la sua comunità negli anni precedenti. Tra gli Havasupai si era verificata un’altissima diffusione di una forma molto grave di diabete, che in molti casi aveva portato ad amputazioni e necessità di dialisi. L’antropologo ne parlò alla dottoressa Therese Markow, una genetista dell’università, che decise di occuparsene. Gli Havasupai vivono all’interno dei confini dello stato, nei pressi del Grand Canyon.
Dal 1990 la dottoressa Markow e i suoi assistenti raccolsero molti campioni di DNA dai membri della tribù, sperando di individuare le ragioni di una predisposizione al diabete: le ricerche non ottennero nessun risultato. Ma negli anni successivi, i campioni del DNA degli Havasupai vennero ulteriormente studiati e analizzati per altri tipi di indagini mediche e scientifiche, con risultati proficui e interessanti.
L’altroieri il Consiglio dei Garanti dell’Università dell’Arizona ha stabilito che quell’uso ha violato gli accordi con i donatori del DNA e ha deliberato un risarcimento di 700 mila dollari per 41 di loro e la restituzione dei campioni conservati nei laboratori accademici. È una decisione che crea un precedente molto importante e discutibile rispetto all’uso dei campioni biologici nella ricerca, e da ieri la stampa americana lo sta raccontando diffusamente.
Spiega il New York Times che nel 2003 una parente di Edmond Tilousi si trovava all’Arizona State University e le capitò di ascoltare la discussione di una tesi. Lo studente aveva indagato delle variazioni interessanti nel DNA degli Havasupai, e quando la ragazza si rese conto che erano stati usati gli stessi campioni della dottoressa Markow protestò con l’università. Non era per questo che i campioni erano stati concessi. Negli anni successivi la sua protesta (“hanno usato il nostro DNA in molti modi, hanno ottenuto lauree e borse di studio”) divenne quella di tutta la comunità: la cui indignazione crebbe quando venne a sapere i risultati di un’altra ricerca fatta a partire da quel DNA. Ovvero che gli Havasupai avrebbero origini asiatiche e che i loro antenati sarebbero arrivati in America attraversando lo stretto di Bering ghiacciato: ricostruzione che contrasta col mito tradizionale degli Havasupai, che si vogliono guardiani del Canyon in cui la loro stirpe sarebbe nata.
Adesso la contesa di questi anni sull’uso del DNA degli Havasupai è arrivata a una decisione: non è stato corretto utilizzarlo per fini diversi da quelli per cui era stato dato il consenso. Decisione che appare giusta se la si guarda da un punto di vista di istintiva giustizia, ma pone delle questioni scientifiche ed etiche molto delicate, come hanno sttolineato già molti interventi. La dottoressa Markow, ascoltata dal New York Times, ha ricordato che molti progressi scientifici e scoperte mediche si sono raggiunti attraverso percorsi imprevisti, e non sulla scorta dell’impostazione iniziale delle ricerche. Cosa avremmo detto, per esempio, se lo studio del DNA degli Havasupai avesse condotto a scoperte utili per la cura di altre malattie?
Le regole finora non sono state sempre definite esattamente: quando si sottopone qualcuno a ricerche e sperimentazioni mediche – soprattutto se c’è una chance anche minima di rischio – è obbligatorio chiedergli un “consenso informato” molto dettagliato e completo. Ma nella raccolta e nell’uso di campioni di DNA – assai più facilmente e innocuamente accessibili – le cose sono più vaghe e la costruzione di estesi database di informazioni e norme d’uso sarebbe molto macchinosa e limiterebbe la ricerca.
Il caso degli Havasupai sta suscitando poi altre reazioni, da parte di chi aveva avanzato simili richieste negli anni passati senza ottenerne ragione. Un caso noto è quello di Henrietta Lacks: morì di cancro nel 1951 e le sue cellule, raccolte senza il suo consenso, sono divenute famose nella ricerca (“cellule Hela“) che ne ha ottenuto grandi progressi medici. Ma i suoi eredi, che vivono in condizioni di grande povertà, non ne hanno mai ottenuto nessun compenso.