L’afgano che è stato nello spazio
Abdul Ahad Momand: dall'orbita terrestra come astronauta alla Germania come rifugiato
Questo mese l’Atlantic racconta la storia di Abdul Ahad Momand, ex pilota dell’aviazione afgana, ex astronauta, ex viceministro dell’aviazione e del turismo, ora rifugiato in Germania. Nell’88 l’Unione Sovietica, dopo essersi ritirata dall’Afganistan a causa della guerriglia con i mujaheddin, ha fornito al governo di Mohammad Najibullah armi e soldi più un gesto simbolico: il posto a un afgano in una capsula d’alluminio lanciata nel cielo a una velocità 25 volte maggiore di quella del suono.
Momand fu scelto per aver ucciso molti mujaheddin come pilota dell’aviazione militare afgana. I sovietici lo allenarono intensivamente, e il 29 agosto lo mandarono in orbita insieme ad altri due astronauti russi. Momand si portò dietro una piccola copia del Corano, e una volta nello spazio parlo al presidente Najibullah via radio e fece qualche fotografia dell’Afganistan.
Dopo una settimana di esperimenti, l’equipaggio iniziò la discesa verso la Terra. A Momand fu ordinato di non toccare nulla e lasciar fare tutto ai due colleghi sovietici. Durante la discesa, il computer della navicella iniziò a dare problemi. Mentre i russi attendevano istruzioni, Momand si accorse che il computer si stava preparando a espellere carburante e batterie dalla nave: stoppò il countdown e, citando l’ingegnere e storico dello spazio James Oberg, diventò “uno dei pochissimi astronauti a trovare da solo il modo di salvarsi da una morte certa”. La navicella atterrò sana e salva.
Per il rischio corso, venne nominato Eroe dell’Unione Sovietica, e in Afganistan diventò viceministro dell’aviazione e del turismo. Ma da qui in poi le cose peggiorarono: poco dopo, Najibullah venne deposto e ucciso dai mujahideen. Momand, parlamentare di Najibullah, volò in Germania senza tornare mai più.
Il giornalista di Atlantic l’ha incontrato a Stuttgart, dove vive e lavora con la moglie. Appena arrivato trovò un lavoro in un istituto di ricerca spaziale, ma presto il bisogno di uno stipendio più alto lo portò a licenziarsi e trovare un altro lavoro, in una piccola azienda commerciale che sembra annoiarlo parecchio. “Non è lo spazio”, dice.
Momand beve ancora lo stesso tè che beveva nello spazio, 20 anni fa. Sulla televisione, tiene un modellino della capsula Soyuz. La sua visione della terra che ha lasciato, l’Afganistan, è amara e rassegnata. “Abbiamo una classe politica irrimediabilmente corrotta. Sono bravi a parlare, ma non fanno nulla. Prendono i soldi, non fanno nulla per la gente, sono peggio dei ladri. Hanno il sangue dei bambini sulle loro mani.”