Afghanistan, Emergency lascia l’ospedale
Alla base della decisione "motivi di sicurezza". Continuano le indagini sui tre operatori italiani arrestati
L’ospedale di Emergency a Lashkar-gah, in Afghanistan, è in mano della polizia afgana e del personale locale. Alla base della decisione, presa da Emergency d’intesa con le autorità, ci sarebbero motivi di sicurezza. “La struttura è sotto il loro controllo da quando hanno portato via i nostri tre cooperanti”, ha spiegato Maso Notarianni, responsabile comunicazione della ong italiana. “Non abbiamo il controllo dell’ospedale e non sappiamo cosa stia accadendo all’interno”. Circostanza confermata dal portavoce del governo di Helmand, Daoud Ahmadi che però spiega: “La polizia ha in mano la sicurezza e tutte le attività si svolgono normalmente, come finora è stato, in presenza del personale locale”. Nessuna novità invece sulla situazione dei tre operatori italiani, ancora in stato d’arresto.
Ieri Ahmadi ha smentito la ricostruzione del Times secondo cui i tre italiani avrebbero ammesso le loro responsabilità. Mentre continua l’indagine della polizia afgana, col passare delle ore prende credibilità l’ipotesi che qualcuno abbia usato l’ospedale di Emergency come deposito di armi: al suo interno, infatti, la polizia afgana ha rinvenuto grandi quantità di armi e due giubbotti da suicide bomber, le cinture piene di esplosivo, chiodi, viti e bulloni, usate dai kamikaze nei loro attentati. Una lettura dei fatti che è rilanciata dal fondatore di Emergency, Gino Strada, secondo cui “qualcuno ha messo le armi nel nostro ospedale, certamente non i nostri internazionali”.
Daoud Ahmadi ha precisato però al Giornale che l’inchiesta non ha a che fare con accuse di propaganda anti Nato o con il fatto che l’ospedale di Emergency cura anche i feriti talebani: “Anzi il governatore aveva consegnato un certificato di apprezzamento all’ospedale di Emergency per come assistevano la popolazione”. Ahmadi ha ribadito inoltre che il presidente della provincia di Helmand non ha alcuna intenzione di chiudere l’ospedale: “Il crimine è un atto individuale. L’indagine sarà trasparente ed in nessun modo questo incidente deve riflettersi sull’assistenza e al cooperazione fra l’Italia e l’Afghanistan”.
Mentre il Times non ha accettato la smentita di Ahmadi sulle confessioni – “Me lo ha detto due volte”, ha dichiarato all’Agi l’inviato del quotidiano britannico – in Italia non si fermano gli attestati di solidarietà e sostegno all’organizzazione umanitaria, che avranno il loro culmine nella manifestazione indetta per sabato 17 aprile, a Roma, per chiedere l’immediata liberazione dei tre italiani arrestati a Lashkar-gah.
Durante la giornata di ieri il portavoce di Emergency ha lamentato nuovamente il mancato rilascio dei tre, a seguito della scadenza dei termini previsti per l’arresto, mentre il ministro degli esteri Franco Frattini – che mercoledì riferirà in parlamento sulla vicenda – ha affermato che l’Italia “non abbandona” i tre operatori: “Vale anche per loro la presunzione di innocenza, assieme all’impegno preso con noi dalle autorità afghane al rispetto dei loro diritti”.
Su Repubblica di oggi però Michele Serra critica chi nel governo ha attaccato l’organizzazione umanitaria.
“Alla destra peggiore non pare vero poter sputare su Emergency, su Gino Strada. Garantisti fino al causidico quando siano in ballo i destini e gli interessi del loro capo, questi signori hanno preso per buone le dicerie più improbabili senza aspettare nemmeno la replica degli accusati, e un quarto d’ora dopo il blitz avevano già emesso la loro sentenza: Emergency è contigua al terrorismo”.
Anche l’editoriale di Franco Venturini sulla prima pagina del Corriere della Sera è severo con chi in Italia ha emesso condanne con troppa fretta.
“Il garantismo tanto evocato in patria dovrebbe valere anche per i tre operatori sanitari arrestati tanto lontano dal nostro Palazzo. E dovrebbe, se possibile, essere affermato con energia ben maggiore di quella spesa in questi giorni”.
Infine, l’editoriale odierno di Massimo Gramellini sulla Stampa prende di mira l’intervista del ministro della difesa Ignazio La Russa al quotidiano torinese.
“Leggendo l’intervista rilasciata ieri a La Stampa dall’onorevole La Russa verrebbe da chiedersi con il poeta: che anno è, che giorno è? Il ministro della Difesa rispolvera gli interminabili Anni Settanta per informarci che anche Gino Strada potrebbe aver allevato nel suo seno degli infiltrati «come accadde al Pci con le Br e al Msi coi Nar», trattando Emergency alla stregua di un partito, diviso in frange più o meno estremiste. Non vi è dubbio che le responsabilità dei tre italiani fermati in Afghanistan andranno accertate e nel caso punite, ma è inaccettabile la tentazione di trattare questa vicenda come se fosse una questione di politica interna. Nel compilare il proprio autoelogio, il ministro ricorda i tanti «esponenti di sinistra che abbiamo salvato negli scenari di guerra». E non allude a un parlamentare del Pd strappato ai talebani o a un banchiere delle cooperative rosse preso in ostaggio dai pashtun. Intende riferirsi a giornalisti, medici, pacifisti: tutta gente che nelle zone di guerra ci va per vocazione o per mestiere, certo non per conto di uno schieramento politico”.