Il 2 agosto 1980 e altre storie
Bisogna rivederle le immagini del 2 agosto 1980 a Bologna per capire che cosa fu quel giorno. Con le facce stravolte dei soccorritori, i feriti e i morti caricati sugli autobus, perché le autoambulanze non bastavano. Guardando le immagini sembra di sentire il caldo soffocante di quell’agosto unito a quello innaturale dell’inferno che si era aperto nel terreno.
Qualcuno, in questi tempi, ha tentato ricostruzioni fantasiose. Il deputato di Fli, Enzo Raisi ha tirato in ballo Mauro Di Vittorio: aveva 24 anni, era di sinistra, morì alla stazione di Bologna quel giorno. Secondo Raisi, Di Vittorio era militante dell’Autonomia Operaia di via dei Volsci, a Roma, quindi vicino ai palestinesi, quindi…
Da tempo in realtà Di Vittorio si era allontanato dalla politica, il padre era morto, la madre non ce la faceva ad andare avanti così lui si era messo a lavorare, anche lontano da Roma, mandava i soldi a casa. E i vecchi militanti di via dei Volsci dicono di non sapere neppure chi fosse, Di Vittorio. Raisi punta l’attenzione sul lodo Moro, su un accordo segreto che ci sarebbe stato tra governo italiano e palestinesi perché questi ultimi utilizzassero l’Italia come base e punto di passaggio a condizione che non venissero coinvolti cittadini italiani. Anche Cossiga alluse a questa possibilità. Quindi quella bomba esplose per caso? Ma se fosse così, perché non c’era nessun palestinese tra le vittime? Licio Gelli in un ‘intervista ha detto che fu forse un mozzicone di sigaretta a provocare la strage. Parlano tutti, dicono enormità, noi le ascoltiamo.
C’è un documentario, Un solo errore, girato da Matteo Pasi e dedicato alla strage della stazione di Bologna. In un’intervista Giusva Fioravanti, che per quella strage è stato condannato all’ergastolo, dice «che il presidente dell’associazione delle vittime della strage (Paolo Bolognesi) in quell’attentato ha perso una suocera. E la suocera non è una vera perdita». Dice ancora Fioravanti: «Bolognesi è un vecchio partigiano, è la carica ideologica che lo muove». Dà le pagelle alle perdite: la suocera vale poco, evidentemente.
Quella suocera si chiamava Vincenzina Sala, il 2 agosto 1980 era andata alla stazione di Bologna con il nipotino Marco, sei anni, il figlio di Paolo Bolognesi. Erano lì ad aspettare Paolo e la moglie, che tornavano da un viaggio in Svizzera. L’esplosione li travolse: Marco venne devastato, sfigurato, riconosciuto dai genitori solo per una voglia sulla pancia. Il 3 agosto Sandro Pertini andò in ospedale, ne uscì piangendo, disse «Ho visto un bambino che sta morendo». Non morì Marco, ma i segni di quel giorno li porta ancora addosso: ha invalidità superiori all’80%. Il corpo di Vincenzina venne riconosciuto solo per una doppia fede nuziale al dito. La testa non fu trovata. Il deputato Raisi ha detto però che la suocera di Bolognesi non morì quel giorno, ma tre anni dopo.
Parlano. Giusva Fioravanti ha tutto il diritto di continuare a proclamare la sua innocenza. Ha tutto il diritto di dire, come chiunque altro, ciò che vuole. Ma io il diritto di ricordarmi che era Giusva Fioravanti. Ricordarmi di lui e di quelli che erano con lui: Alessandro Alibrandi, Massimo Carminati, Gilberto Cavallini che il 27 aprile 1976 insieme ad altri camerati in via Uberti, a Milano, squarciò a coltellate l’addome di Gaetano Amoroso, “vestito da compagno”. Ricordarmi di quando Fioravanti e i suoi venivano a Milano, per cercare compagni da ammazzare anche in trasferta.
Ci sono storie che continuano a mettere i brividi. Il 28 febbraio 1978 Fioravanti e i suoi a Roma sono a “caccia di rossi”. In piazza San Giovanni Bosco ci sono alcuni ragazzi su una panchina che si stanno facendo una canna: Fioravanti e i suoi scendono dall’auto, sparano. Scialabba è colpito al torace ma non è morto. Fioravanti gli sale a cavalcioni, lo guarda e lo finisce con due colpi in testa. Si stava solamente facendo una canna, Roberto Scialabba.
Ce ne sono tante di cose da ricordare, non solo il 2 agosto 1980.