Un’altra idea di futuro
È passato un anno esatto in questi giorni. Mi avevano chiamato in tutta fretta a Torino per parlare di una grande mostra da allestire in occasione delle celebrazioni per i 150 anni della unita d’Italia. Una mostra sul Futuro, quello con la maiuscola, mi spiegarono. Io dissi: allora non facciamola su un futuro generico, facciamola sul nostro futuro. Il futuro dell’Italia. Ricorderó sempre la reazione dei miei interlocutori: “Ma perché l’Italia ce l’ha ancora un futuro?”. Non una domanda, una battuta. O forse una condanna.
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Io sono sempre stato ottimista. Credo che una robusta dose di ottimismo sia la premessa di tutto. E in questi ultimi anni poi ho capito che non basta un ottimismo qualunque per vivere bene, ma serve un “ottimismo razionale” (citazione di Matt Ridley e del titolo di un suo bel libro). Come mi disse una volta un mio interlocutore a San Francisco “I am optimistic but for a reason”. Ecco l’ho fatta un po’ lunga per dire che la mia “reason” principale per essere ottimista, anche adesso, soprattutto adesso, sono gli innovatori italiani, le tantissime persone che ho scoperto e conosciuto nei miei 40 mesi a Wired e che continuo a incontrare ogni giorno anche adesso che ho lasciato il giornale.
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“Ma l’Italia ce l’ha un futuro?”. La battuta di un anno fa mi è tornata in mente leggendo il discorso che il capo del nostro governo ha fatto qualche giorno fa alla Camera, in uno dei momenti più difficili della nostra storia recente. Prima ho letto i resoconti dei giornali e poi, incredulo, mi sono andato a cercare in Rete il testo integrale. L’ho trovato sul sito de L’Occidentale. Se vi capita, rileggetelo come ho fatto io. E cercate lì dentro una prospettiva di innovazione, il senso di Internet per la crescita del paese, il ruolo dei giovani e delle giovani idee e la necessità di capitali di rischio per sostenerle. Insomma, cercate lì dentro una qualunque idea di futuro, anche con la minuscola, e non la troverete. E non è solo questione del fatto i concetti che ho elencato in qualche caso non sono stati nemmeno citati. E’ proprio che non esistono nella mente della nostra classe dirigente, e in particolare della classe governante. Come se quella equazione un po’ semplicistica epperò verissima per cui non c’è vera crescita senza innovazione (e il più potente fattore di innovazione è lo sviluppo di Internet e di una Agenda Digitale), non la conoscessero affatto.
Per questo il nostro prodotto interno lordo negli ultimi dieci anni è cresciuto dello 0,1 per cento (siamo fra lo Zimbawe e Haiti nel ranking mondiale).
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No. In base alle cronache politiche e alle scelte economiche, ai miei scettici interlocutori piemontesi di un anno fa avrei potuto rispondere che “l’Italia non ha futuro”. E avrei sbagliato. Invece dissi loro: una mostra sul futuro deve servire a far emergere il futuro che ancora non c’è, le idee dei ragazzi che non sono ancora startup, che non sono ancora prototipi ed anche solo i progetti di ricerca che magari fra un anno diventeranno un business plan coerente. E prima che potessero fermarmi, chiusi tutto il discorso in uno slogan: “Cerchiamo i Nuovi Mille!”. E’ nata lì l’idea di unire il tour Working Capital di Telecom Italia con le StartCup universitarie in un unico grande Premio Nazionale della Innovazione sostenuto anche dalla regione Piemonte. Perché solo unendo le forze, pensavo, rinunciando con generosità a pezzetti di sovranità, spiegavo, possiamo fare qualcosa che abbia davvero un senso. E far emergere un’altra idea di Futuro.
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A rivederlo oggi quello che abbiamo costruito, si corre il rischio del trionfalismo e sarebbe un errore anche perché siamo ancora alla metà del percorso. Epperó i numeri sono clamorosi: sulla homepage di Working Capital campeggia il contatore che è arrivato a 2139 concorrenti. E visto che ogni progetto coinvolge sempre quattro o cinque persone, ci sono oltre diecimila innovatori pronti a realizzare la propria idea e aiutarci nel realizzare la nostra: rifare l’Italia nel segno della innovazione. “Qui si rifá l’Italia” era il titolo cubitale della copertina di Wired di marzo che lanciava la nostra ricerca dei Nuovi Mille; con un Roberto Saviano che trascinava un tricolore liso ma vivo. Qui si rifà l’Italia, ci siamo detti allora anche per farci forza nella indifferenza scettica con cui di solito chi governa, chi ci rappresenta e chi decide cosa è notizia e cosa no, accoglie questi progetti.
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E invece qualcosa di potente è scattato. Un passaparola che è partito dalla Rete per attraversare le università. Chi aveva una idea, una buona idea, ha capito che lo avremmo ascoltato davvero e che se avesse vinto la gara con gli altri, avrebbe avuto i mezzi per iniziare a realizzarla (il montepremi complessivo è di 2,5 milioni di euro fra seed, grant ed equity).
Ora la gara entra nel vivo. A settembre si svolgeranno le ultime StartCup mentre con il tour di Working Capital (che è già stato a Torino, Palermo, Napoli e Firenze) saremo a Trieste e Milano per delle vere semifinali. E poi a novembre tutti a Torino, a metà novembre, per la finale che si annuncia come una Woodstock della Innovazione. Basteranno i Nuovi Mille, anzi i nostri Diecimila, a rifare l’Italia? Sarebbe retorico rispondere di si. Epperó mai come in questi giorni di Borse impazzite ho pensato che la definizione di Working Capital fosse perfetta per gli innovatori: sono loro il nostro “capitale circolante netto”, il “capitale umano” di cui parla sempre Rita Levi Montalcini. La nostra ricchezza nascosta.
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Per questo vorrei che i parlamentari che giustamente sono tornati dalle ferie d’agosto per approvare la manovra economica dei tagli ed evitare al Paese la bancarotta, trovassero il tempo di volgere lo sguardo verso questi ragazzi. Non per dare loro una mano, ma per chiedere loro la strada per un’altra idea di futuro.