Le colpe di Internet e le nostre
Non scriverò alcun nome e cognome. Non metterò su questa pagina il nome della ragazza suicida dopo la diffusione on line di un suo filmato pornografico (girato con il suo consenso) e nemmeno quello della 17enne che nel bagno di una discoteca di Crisopoli (il nome della località è di fantasia perché le risorse enciclopediche di Google sono infinite) è stata abusata da ubriaca da un conoscente occasionale mentre le amiche di lei giravamo un video poi diffuso in rete. Sono due notizie di questi giorni nelle quali i media hanno un effetto di accelerazione significativo: mettere nomi e cognomi, circostanziare le storie, significa solo reiterare il danno, fare da bussola ad ulteriori pruderie, scatenare i medesimi meccanismi voyeuristici che sono parte integrante di simili tragedie.
E tuttavia vale la pena citarli simili episodi, pur se per sommi capi, perché le reazioni che scatenano sono esemplari e portano tutte, indistintamente, nella medesima direzione.
Alcuni si concentreranno sull’ambiguità dell’informazione, sulla sua scarsa moralità, sul suo ruolo militante nell’accentuare disagi e sensi di colpa. Molti dei quotidiani italiani che oggi raccontano con toni pensosi il suicidio della ragazza, nei mesi scorsi hanno dedicato articoli frizzanti al caso del video porno virale che circolava su Internet. Era del resto la notizia perfetta, quel giusto mix di voyeurismo e sesso che rende cliccabile qualsiasi cosa, specie se alle parole sarà possibile accludere immagini o perfino video.
Ma la doppia morale dei media non è poi così interessante, merita maggior attenzione l’immediata ricerca del capro espiatorio, quella specie di cerimonia pubblica, che riguarda i media ma non solo loro, nella quale siamo ormai diventati tutti maestri. Appena un evento tragico accade, prima ancora di mostrare il nostro sconcerto o la nostra comprensione per le vittime, iniziamo a guardarci intorno alla ricerca del colpevole. Ed in casi del genere la ricerca del colpevole è di una semplicità disarmante. È colpa dei social network, di questo”nuovo” serbatoio sentimentale nel quale tutto viene continuamente riversato, dove tutto ed il suo contrario è ordinatamente affisso, quel luogo dove tutti ogni giorno frughiamo senza sosta. Ogni delitto, ogni notizia ormai, rimanda in una maniera o nell’altra a questo database di vite, miserie, meraviglie ed orrori. Del resto se i social network non esistessero nulla di tutto questo accadrebbe e quindi insomma, ecco la soluzione.
Esiste una maniera per sottrarsi a questo circolo vizioso? Sembrerebbe di no, non a caso da oggi tutti, ovunque, a partire dai casi tragici di queste ore, invocheranno maggiori controlli online, estensioni del diritto all’oblio, interventi celeri della polizia postale, censure preventive, morali rigidissime. I più arditi si chiederanno “ma questa Internet poi, ci serve davvero?”. E così facendo, con un senso di rinfrancata liberazione dalle responsabilità che nemmeno si sospetta di avere e che invece sono le medesime per tutti, si ritornerà alle faccende quotidiane.
Serve una sola cosa per combattere simili episodi e per sperare di ridurne il numero, e serve a tutti, ai protagonisti ed ai commentatori, ai passanti che dicono cose a caso ed ai guardoni che frugano alla ricerca di quel video famoso, e questa cosa è una maggiore cultura digitale. La comprensione di cosa siamo diventati e di cosa non siamo più, la conoscenza degli strumenti che la tecnologia oggi ci offre e che nessun controllore eccetto noi sarà in grado di limitare. Niente di tutto questo potrà essere demandato ad altri. Se siamo cretini la battaglia sarà – finalmente – cercare di esserlo di meno.
Serve l’educazione al digitale nelle scuole e nei giornali, nei circoli cittadini e nelle famiglie, in un progetto che dovrà essere tanto più vasto quanto maggiore sarà la nostra arretratezza (quindi in Italia serve un progetto vastissimo). Alternative non ce ne sono. Tenendo a mente che quelli che oggi e domani scriveranno dappertutto che è colpa di Internet non sono innocenti e per comprensione del mondo non sono poi tanto differenti dai carnefici digitali di quelle povere ragazze.