Se l’indignazione è automatica
Questo è il comma 29 dell’articolo 1 del decreto anti-intercettazioni che riguarda l’obbligo di rettifica per i siti web di cui si parla molto in questi giorni:
All’articolo 8 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, e successive modificazioni,
sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo il terzo comma è inserito il seguente:
«Per le trasmissioni radiofoniche o televisive, le dichiarazioni o le rettifiche sono effettuate ai sensi dell’articolo 32 del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177. Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto
ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilita` della notizia cui si riferiscono.»; b) al quarto comma, dopo le parole: «devono essere pubblicate» sono inserite le seguenti: «, senza commento,»; c) dopo il quarto comma e` inserito il seguente: «Per la stampa non periodica l’autore dello scritto, ovvero i soggetti di cui all’articolo 57-bis del codice penale, provvedono, su richiesta della persona offesa, alla pubblicazione, a proprie cura e spese su non piu` di due quotidiani a tiratura nazionale indicati dalla stessa, delle dichiarazioni o delle rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro reputazione o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto di rilievo penale. La pubblicazione in rettifica deve essere effettuata, entro sette giorni dalla richiesta, con idonea collocazione e caratteristica grafica e deve inoltre fare chiaro riferimento allo scritto che l’ha determinata.»;
Al riguardo ci sono due cose che penso. La prima è che nemmeno ad un lettore inesperto di lessico legislativo come me sfugge l’intento omnicomprensivo di chi ha materialmente scritto il comma. L’ambiguità di quei “siti informatici” è certamente intenzionale. Del resto sarebbe stato sufficiente che un simile obbligo di rettifica venisse previsto solo per i siti web informativi registrati come testate giornalistiche e questo avrebbe tacitato molte polemiche. Così non è stato per una ragione trasparente: il legislatore vuole poter controllare ed intimidire tutta la comunicazione su Internet e non semplicemente prevedere un meccanismo di giusto risarcimento a chi si sia sentito in qualche misura diffamato attraverso i media professionali. Questo atteggiamento denota uno spregio per la libertà di espressione in rete che i nostri politici hanno mostrato molto spesso anche in passato.
La seconda cosa che vorrei dire, sommessamente, è che forse sarebbe utile mantenere la calma. Il comma sull’obbligo di rettifica non è una norma che spegne la rete italiana, non è un decreto ammazza-blog come in molti in questi giorni stanno ripetendo. Faccio un breve elenco dei titoli principali che leggo in rete al riguardo:
Valigiablu: Comma Ammazza Blog: Post dedicato a Gasparri & C.
Guido Scorza su Wired: Censura online
Corriere della Sera. Norma antiblog
Anche i politici dell’opposizione hanno posizioni chiare al riguardo: Di Pietro ha dichiarato all’Asca che
La legge preparata dal suo governo di zelanti servitori non ha uguali nel mondo. E’ un insulto alla liberta’ e alla democrazia, e’ una misura fascista
Gentiloni per qualche ragione estende i rischi anche ai social network:
‘Trasferire le norme sull’obbligo di rettifica, tipiche della carta stampata, alla rete – aggiunge il parlamentare – e’ ovviamente impossibile. L’unica conseguenza di una tale assurdita’ giuridica sarebbe il blocco di fatto di siti, blog e social network”.
Insomma la rete si mobilita e viene invitata a farlo con tutto il solito corteo di indignazione, rimandi, passaparola, sticker da appendere sul proprio blog, pagine su Facebook. Dentro questa mobilitazione come al solito c’è un po’ di tutto, ci sono i molti autenticamente preoccupati, i professionisti dell’indignazione, i tanti che sfruttano il tema per ragioni di opposizione politica. Ma soprattutto c’è un riflesso condizionato che io trovo ogni volta più pericoloso: ad ogni vaneggiamento grande o piccolo, del legislatore o del magistrato, dell’esponente politico o del commentatore TV si risponde sempre e comunque con la mobilitazione generale e con grandi significative semplificazioni del contesto. La misura della protesta è sempre più spesso la quantità e non la qualità, i toni urlati e non il ragionamento e questo metodo di lotta e di contrapposizione ai cattivi-che-vogliono-chiuderci-Internet trasforma tutto in un teatrino prevedibile e usuale.
Ed ogni volta questi sforzi, questa indignazione spesso autentica ma anche molto automatica, mi sembra ottengano sempre minori risultati e siano archiviati dai furboni che scrivono cattive leggi per la Internet italiana come la prevista innocua risposta del “popolo della rete”. Potrà sembrare “il volgo disperso che repente si desta“, molte volte però assomiglia all’altro volgo, quello che, purtroppo per noi, “nome non ha“.
[EDIT: Arianna Ciccone di ValigiaBlu mi chiede su FB di rettificare il titolo del loro post citato, trovo la cosa perfettamente inutile nell’ottica di questo post ma visto che è un gentile invito e non un obbligo di rettifica lo accolgo volentieri]