Le stagioni di Thomas More
6 luglio – Thomas More (1478-1535), politico, utopista, persecutore dei protestanti, perseguitato dagli anglicani.
The Sixteenth Century is the Century of the Common Man. (He puts down the jug) Like all the other centuries. And that’s my proposition. (Robert Bolt, A Man For All Seasons, I).
Thomas More, a dire il vero, la Chiesa cattolica lo festeggia il 22 giugno, che è la data in cui fu tagliata la testa al suo amico, il vescovo John Fisher. Per disfarsi della sua Thomas dovette aspettare il 6 luglio. In questa giornata, dal 1980, lo celebrano gli anglicani, con sinistra ironia: fu proprio il fondatore della Chiesa anglicana, Enrico VIII, a chiedere e ottenere da una corte compiacente la testa di Fisher e di More: e proprio perché i due rifiutavano di riconoscerlo come un’autorità religiosa superiore al papa di Roma. Vi immaginate una cosa del genere nel calendario cattolico romano? Non so, un 17 febbraio festa di San Giordano Bruno martire?
Ma gli inglesi sono così. Sanno ammirare anche gli avversari – poi, se serve, li ammazzano. Però un posto nel calendario lo tengono anche per loro. Fair play. Thomas More visse sulla sua pelle le contraddizioni del Rinascimento, e ne morì: dopo aver teorizzato nella sua Utopia la tolleranza religiosa (ma anche la giornata lavorativa di sei ore, il comunismo, la decrescita felice, il controllo delle nascite, l’eutanasia) quando in Inghilterra cominciarono ad arrivare i protestanti veri fece di tutto, da Cancelliere del Re, per reprimerli, bruciandone i libri quando non riusciva a bruciarne i diffusori. È una contraddizione che fa discutere da cinque secoli. Cosa trasformò More da umanista a inquisitore? Stava invecchiando? O è il potere che ti logora, nel momento in cui lo erediti e all’improvviso lo status quo non ti sembra poi così male? Tante chiavi di lettura sono state proposte, ma quella che aggiungo qui è sicuramente inedita, perché coinvolge Beppe Grillo. Voi cosa ne pensate di Beppe Grillo?
Io fino a qualche anno fa non lo trovavo così male. Non avrei mai votato per lui, ma il fatto che riempisse le piazza non mi dava fastidio. Mi sembrava che desse voce a gente che non ne aveva, magari in modo un po’ volgare (“Vaffanculo!”), ma in certi casi necessario. Poi però Grillo ha fatto il venti per cento, e ho cambiato idea. Ha stravolto l’assetto politico – il che avrebbe potuto essere un bene – ma alla fine il nuovo equilibrio che ne è derivato è molto meno decente del precedente. Ha fatto molto, molto più danno che utile. E mi ha trasformato in una persona peggiore. Sul serio. Sono diventato di destra, grazie a Grillo. Non sopporto più i movimenti di piazza, da quando li organizza Grillo. La “democrazia diretta”, che sulla carta e soprattutto sul web poteva sembrarmi un’idea interessante, da quando la professa Grillo mi pare una favola per grulli. Non credo più nell’attacco alla Casta, da quando lo dirige Grillo. La politica come volontariato: qualche anno fa ci avrei creduto, ma Grillo coi suoi scontrini e i suoi assegnoni è riuscito a convincermi che i politici vanno pagati bene, anzi benissimo. Persino i pannelli solari comincio a guardarli con insofferenza – insomma, un sacco di cose (quasi tutte “di sinistra”) che prima di Grillo esistevano soltanto sul piano teorico, quasi utopie, da quando c’è Grillo sono diventate proposte pratiche, il più delle volte pasticci inguardabili. E forse ho capito cosa successe a Thomas More quando conobbe Lutero. (Continua…)
Non lo incontrò mai fisicamente, ma ebbe con lui degli scontri memorabili nella realtà virtuale cinquecentesca, che era tutta di carta e piombo ma non meno litigiosa e virulenta di quella di oggi. L’Utopia di More esce nel 1516: Lutero è ancora un monaco sconosciuto che qualche mese più tardi appende alla bacheca della chiesa di Wittemberg 95 tesi teologicamente un po’ ardite. Nel giro di un paio di anni i suoi libri e opuscoli faranno il giro d’Europa: More non può fare a meno di leggerli e forse di trovare nella prosa furiosa del monaco una caricatura di certe idee che qualche anno prima aveva condiviso anche lui – però tutto distorto, semplificato, e portato avanti con una violenza verbale che non promette nulla di buono, insomma, tutto grillificato.
In un primo momento More non rispose a Lutero in prima persona. Preferì offrire la sua penna e i suoi concetti a Enrico VIII, trasformando il suo grosso e grasso monarca in un intellettuale di spessore europeo con un best seller cattolico, l’Assertio Septem Sacramentorum (difesa dei sette sacramenti). Il papa Leone X andò in sollucchero; nominò Enrico VIII Difensor Fidei, ma quando il difensor gli chiese di divorziare da Caterina d’Aragona fece orecchio di mercante. Nel frattempo Lutero stava meditando la risposta a Enrico VIII, che avrebbe contenuto tra le altre le parole “maiale” e “idiota”. Io non sto dicendo che Lutero sia stato il Grillo del sedicesimo secolo – non è stato solo questo – non voglio sminuire la sua figura di teologo e riformatore eccetera – però c’è qualcosa di grillino nel suo ostinato ricorso al turpiloquio. Sono tutti maiali, tutti diavoli, stanno tutti pasturando nello sterco del demonio, insomma sono tutti morti, morti, morti; la sua prosa di polemista è una saracinesca impestata di guano che si abbatte sulle forbite eleganze del Rinascimento. Quando legge la risposta More ci rimane male (“Niente è stato più doloroso per me che dover ripetere simili parole a orecchie rispettabili”), ma poi, da buon polemista, decide di rispondere per le rime, stavolta sotto pseudonimo. Del resto Enrico il Difensore della Fede non avrebbe potuto sottoscrivere un libello (Responsio ad Lutherum) in cui lo “schifoso fraticello” veniva definito “scimmia”, “ubriacone”, “cloaca di ogni merda,” eccetera. A difesa di Lutero intervenne qualche anno dopo William Tyndale, un protestante inglese la cui traduzione della Bibbia More osteggiò in tutti i modi. Alla Risposta al Dialogo di sir Thomas More More replicò con una lunghissima Confutazione della Risposta, in cui smontava il libro di Tyndale in tanti paragrafi e replicava a ciascuno, per centinaia e centinaia di pagine, il più grande flame del Cinquecento, che si concluse col rogo purtroppo non metaforico dell’autore protestante.
Infatti proprio mentre l’umanista Thomas More replicava a questi riformatori; mentre il proto-socialista Thomas More ne notava i limiti, i pericoli, i disastri scatenati (il massacro dei contadini in Germania, che Lutero non seppe prevenire e alla fine approvò), l’ex utopista Thomas More si spostava sempre più a destra. Ai tempi dell’Utopia il cristianesimo poteva sembrargli una fede tra tante. Era facile pensarla così, nell’Inghilterra del 1516: un paese senza minoranze (gli ebrei erano stati cacciati da due secoli), in cui la tolleranza religiosa era una speculazione intellettuale, un’ipotesi per assurdo. Altra cosa era vedere i protestanti veri, scoprirli ben diversi da quelli immaginati sulla carta. Vederli imbastire teologie senza riflettere sulle ripercussioni politiche – salvo correre disperati a baciare il mantello dei principi quando i contadini si mettono a bruciare le chiese – e argomentare a furia di “maiale” “idiota” e “diavolo”. Questa gente è pericolosa, deve aver pensato More. Questi vanno eliminati, uno alla volta, prima che si diffonda il contagio come sul continente. Meglio bruciarne qualcheduno, che doversi trovare a bruciare interi villaggi tra un paio d’anni, come in Germania. L’umanista More, il teorico della tolleranza religiosa, divenne il persecutore dei cristiani riformati.
Nel frattempo il destino gli stava preparando il peggiore degli sberleffi. Il suo re, il Difensore della Fede Cattolica, l’autore di quelle meravigliose pagine sui sette sacramenti scritte da More… stava diventando protestante anche lui. Un protestantesimo molto sui generis, tutt’altro che interessato alle disquisizioni sulla giustificazione mediante la fede e la dottrina delle indulgenze. Enrico voleva solo divorziare, e alla svelta, da una moglie che non gli stava dando nessun erede maschio e rischiava di legare per sempre la sua dinastia a quella degli Aragona. E poi, certo, voleva portarsi a letto Anna Bolena, ma quello nessuno davvero poteva impedirglielo: il punto è che voleva da Anna Bolena un erede, e che tutti lo riconoscessero tale. Il papa da quell’orecchio non ci sentiva – il papa era team Aragona. Non restava che farsi protestante, anzi, trasformare in protestanti tutti i propri sudditi, così, con un semplice taglio indolore, zac! Ahi, no, qualche testa comunque sarebbe dovuta cadere.
Di diventare martire, Thomas More non fu particolarmente ansioso. Fece il possibile per evitare lo scontro diretto con un re che aveva servito con zelo per tutta la vita. Rassegnò le dimissioni da cancelliere – respinte – le rassegnò di nuovo allegando un certificato medico – e vabbe’, accettate. Si chiuse in un silenzio-assenso nel tentativo di salvare capra e cavoli; scrisse persino un bigliettino di auguri per le nozze di Enrico con Anna Bolena. Però al matrimonio no, non ci poteva andare. Dopo aver scritto fiumi di piombo contro i nemici della Chiesa cattolica, non poteva trasformarsi in anglicano come se niente fosse. Che figura ci avrebbe fatto coi lettori di tutta Europa? Non poteva perdere la faccia. Preferì perdere la testa. E gli inglesi queste cose le apprezzano. Noi invece, mah, forse preferiamo respirare
Io sto respirando in effetti, e voi? È una gran cosa, nevvero? Non è difficile restare vivi, amici, basta non combinare guai – o se proprio li dovete combinare, fate solo i guai previsti. Ma non c’è bisogno che ve lo spieghi. Buona notte e, se dovessimo incrociarci, riconoscetemi.