Genocidi e massimi sistemi

1° settembre – San Giosuè, sterminatore di popoli immaginari (molti secoli prima di Cristo)

John Martin

Ecco un personaggio biblico che quasi nessuno pretende di considerare come realmente esistito. Giosuè è il generalissimo ebraico che dopo la morte di Mosè porta il popolo di Dio attraverso il Giordano nella Terra di Canaan. Ivi, in luogo del latte e del miele promesso, gli Israeliti trovano altri popoli stanziali, con città fortificate e fiorenti. La cosa non scompone per nulla Giosuè, che nei primi anni si dedica con metodo e dedizione al genocidio, attaccando e sterminando una città alla volta, un popolo alla volta: prima Gerico, poi Ai, poi gli Amorrei… Lui del resto non fa che obbedire agli ordini: è Dio che vota quei popoli allo sterminio, e a differenza di Mosè e di altri patriarchi Giosuè non tentenna, non ha ripensamenti, né psicologia: è l’uomo giusto per fare il deserto e chiamarlo pace. Non si può nemmeno dire che ci provi gusto a passare a fil di spada, per esempio, ogni essere che trova nella città di Gerico, “dall’uomo alla donna, dal giovane al vecchio, e perfino il bue, l’ariete e l’asino” (si salva solo la prostituta che ha fatto la spia). Sta solo eseguendo gli ordini. Più un grigio burocrate che un valente condottiero: d’altro canto i suoi biografi mettono in chiaro più volte che Giosuè, senza l’intervento di Dio, non avrebbe vinto nemmeno una scaramuccia. È il Signore degli Eserciti a far cadere le mura di Gerico, previo prolungato squillo di trombe, ed è sempre Lui a bombardare gli Amorrei a Gabaon con una grandinata di pietre che ammazza più nemici “di quanti ne uccidessero gli Israeliti con la spada”. In linea di massima, queste guerre le vince il Signore: alle truppe di Giosuè viene chiesto di fare un atto di presenza, ma soprattutto le pulizie dopo che la battaglia è vinta. Questo tuttavia può richiedere molte ore, in un’epoca arcaica in cui tutto si doveva comunque interrompere al calare del sole; al punto che almeno nel caso della battaglia di Gabaon, Giosuè chiede e ottiene una proroga straordinaria, uno stop del sole per almeno una giornata – il tempo necessario per inseguire gli Amorrei e terminare un’operazione di massacro che sennò chissà quanto si sarebbe trascinata nel tempo.

Allora, quando il Signore mise gli Amorrei nelle mani degli Israeliti, Giosuè disse al Signore sotto gli occhi di Israele:
«Sole, fèrmati in Gàbaon
e tu, luna, sulla valle di Aialon».
Si fermò il sole
e la luna rimase immobile
finché il popolo non si vendicò dei nemici.

Questo famigerato passo è probabilmente l’unico della Bibbia dove si parla un po’ di astronomia. Mi chiedo a volte se sia esistito un antico popolo, con una mitologia complessa e stratificata, altrettanto disinteressato ai moti degli astri e dei pianeti, alle costellazioni eccetera. Giusto una piccola cosmogonia nelle prime pagine, e poi più nulla. Forse era un modo da differenziarsi dai dominatori babilonesi, loro sì fissati con le stelle. Questa sostanziale indifferenza nei confronti del cielo fu paradossalmente un vantaggio nel momento in cui la Bibbia entrò nel mainstream dell’Impero Romano, gareggiando coi testi scritti di altre religioni: i testi manichei, quelli gnostici, mitraici, eccetera. Rispetto agli altri libri sacri, la Bibbia si conciliava meglio con la scienza ufficiale aristotelica, per il semplice motivo che di astronomia non si parlava: come si è visto, Agostino mollò i manichei perché il cosmo che descrivevano era ridicolo rispetto a quello progettato da Aristotele. I cristiani non avevano questo problema: purché il sole girasse intorno alla terra, tutto il resto si poteva organizzare come dicevano i filosofi greci.

Ma insomma nella Bibbia di solito si parla d’altro. E anche nel passo del libro di Giosuè, in fondo, di che si parla? Di massimi sistemi? Non è che Giosuè dica semplicemente “fermati o sole” come noi diciamo tutti i giorni “il sole è sorto”, o “è tramontato”, senza per questo voler negare il sistema copernicano? Siamo sicuri che Giosuè, guerriero e uomo di fede, ci tenga a farci sapere che il sole gira intorno alla terra?

Galileo, per esempio, era sicuro del contrario (continua…)

Nicolò Malinconico

Fu proprio questa sua sicumera a cacciarlo definitivamente nei guai. Di questi guai noi di solito conosciamo una versione molto semplificata, che abbiamo preso per buona a scuola. Riassumendo: Galileo riteneva che la terra girasse intorno al sole (sistema copernicano); i preti però pensavano che questo contraddicesse la Bibbia, almeno in quel versetto dove Giosuè ferma il sole, e così si arrivò al processo e all’abiura. Le cose sono molto, molto più complicate. In un gioco di specchi piuttosto barocco, scopriamo che i preti in questione, tutt’altro che oscurantisti inchiodati alla Verità rivelata in un versetto, giocarono la modernissima carta del relativismo: avrebbero voluto che Galileo considerasse la teoria copernicana una teoria, non la realtà dimostrata delle cose. Mentre a Galileo, il famoso Galileo-inventore-del-metodo-scientifico, tutto questo relativismo infastidiva: lui riteneva di aver dimostrato che la terra gira e il sole è fermo e punto. Quel che è peggio, è che la prova definitiva esibita da Galileo (il moto delle maree) era una solenne cantonata. Non solo, ma così come gli avversari clericali di Galileo erano tutt’altro che digiuni di scienza, lo stesso Galileo ci teneva a mostrarsi uomo di religione. Non aveva nessuna intenzione di contraddire la Bibbia: viceversa, scrivendo al suo amico benedettino Benedetto Castelli, nel 1613, prova a dimostrare che anche la Bibbia gli dà ragione; che il miracolo di Gabeon è incompatibile col sistema tolomaico-aristotelico. Secondo Tolomeo infatti il moto del sole da levante a ponente è solo apparente: a muoversi davvero è il cielo più lontano, il Primo Mobile; se fosse stato esperto di queste cose, Giosuè avrebbe dovuto chiedere di fermare il Primo Mobile, non il sole; anzi, se avesse fermato il sole all’interno del sistema tolomaico, il giorno si sarebbe accorciato un po’. Al contrario, nel sistema copernicano il sole, pur essendo al centro dell’universo, continua a girare su sé stesso (Galileo lo aveva notato osservando le macchie solari), e quindi può essere fermato da Dio, se Giosuè glielo chiede: in che modo poi fermando la rotazione del sole il giorno di luce si allunghi sulla terra, io non l’ho capito, ma Galileo mentre lo spiega sembra molto sicuro di sé, come sempre. Non dico che questo sia un buon motivo per processarlo, minacciarlo di torture, forzarlo all’abiura e mandarlo agli arresti domiciliari; però le cose sono più complicate di come a scuola, per forza di cose, le impariamo.

Galileo al Sant'Uffizio

Che Galileo non fosse un campione di diplomazia, è cosa che riconoscevano anche i suoi sostenitori. Chiamare “Simplicio” il difensore ottuso della dottrina aristotelica, nel Dialogo sopra i massimi sistemi, e mettergli in bocca nel finale le opinioni del Papa Urbano VIII, fu un capolavoro di imprudenza che ancora oggi lascia sbalorditi. “S’infuoca nelle sue openioni, ci ha estrema passione dentro, et poca fortezza et prudenza a saperla vincere”, riferiva Guicciardini a Cosimo II Medici. Quando Galileo scriveva a Castelli che “se bene la Scrittura non può errare, potrebbe nondimeno talvolta errare alcuno de’ suoi interpreti ed espositori”, non si accorgeva che nella foga di scagionare la Bibbia finiva per scaricare la responsabilità proprio sugli “interpreti ed espositori”, ovvero i preti. I quali preti poi, avevano ben più che un versetto biblico da difendere: in ballo c’era quell’edificio aristotelico che aveva retto per tutto il medioevo, e restava il sistema ufficiale insegnato nelle università. Anche il cardinale Bellarmino (oggi San Roberto Bellarmino), che tanto si era adoperato a bruciare Giordano Bruno, avrebbe tollerato che Galileo parlasse di sistema copernicano, purché la considerasse una teoria, un modello possibile ma non dimostrabile. “Perché il dire, che supposto che la Terra si muova e il Sole sia fermo si salvano tutte le apparenze meglio che con porre gli eccentrici et epicicli, è benissimo detto, e non ha pericolo nessuno; e questo basta al mathematico: ma volere affermare che realmente il Sole stia nel centro del mondo e solo si rivolti in sé stesso senza correre dall’oriente all’occidente, e che la Terra stia nel terzo cielo e giri con somma velocità intorno al Sole, è cosa molto pericolosa non solo d’irritare i filosofi e theologici scolastici, ma anco di nuocere alla Santa Fede con rendere false le Scritture Sante”.

C’è un’altra abiura di cui conserviamo una storia eccessivamente semplice: quelle famose scuse che Giovanni Paolo II avrebbe fatto a Galileo, per conto della Chiesa. Anche qui, la storia è ben più complessa. Basti pensare che la Commissione pontificia per esaminare la questione ci lavorò per 13 anni, un periodo di tempo più che sufficiente per trovare un sistema per salvare i cavoli copernicani e la capra ecclesiastica. E infatti le conclusioni del 1992 individuarono un concorso di colpa: da una parte gli inquisitori non erano stati nell’occasione molto “lungimiranti”. Ma la sua parte di colpa ce l’aveva anche quel Galileo, che invece di attendere “prove irrefutabili” aveva preteso di imporre la sua verità. Alla fine sono i vecchi argomenti di Feyerabend. Questi però voleva far notare come il presunto metodo sperimentale di Galileo sia una ricostruzione a posteriori: anche Galileo aveva i suoi pregiudizi, le sue osservazioni e i suoi esperimenti non gli impedivano di intestardirsi su ipotesi errate, come quella sulle maree, o sulle comete. Questo discorso, nelle mani di Ratzinger, diventa una specie di jolly relativista che la Chiesa si riserva di giocare quando le è comodo: di sicuro non quando si parla di Trinità o di Immacolata Concezione o di vita che comincia dal concepimento. Siccome la scienza è fondata sul dubbio, della scienza si può dubitare; dei dogmi di fede no, quelli sono valori non negoziabili e punto. A uno scienziato, Galileo, che si era permesso di spiegare ai preti come si legge la Bibbia, fa da contrappunto un collegio ecclesiastico che pretende di spiegare a Galileo e ai suoi seguaci il metodo scientifico. Chi dei due ci fa la figura meno peggiore? Beh, Galileo aveva i suoi difetti. Ma ai suoi avversari mica faceva i processi; non li condannava, non li teneva agli arresti domiciliari. Il dettaglio, almeno per quanto mi riguarda, è decisivo.

Leonardo Tondelli

Da Modena. Nel 1984 entra alla scuola media, non ne è più uscito. Da 15 anni scrive su uno dei più verbosi blog italiani, leonardo.blogspot.com. Ha scritto sull'Unità e su altri siti. Sul Post scrive di Dylan e di altri santi del calendario.