Cecilia, you’re breaking my heart
22 novembre – Santa Cecilia, vergine e martire (I secolo dC), patrona dei musicisti
Ci sono tra i Santi, come tra noi, celebrità indiscusse e perfetti sconosciuti; e come tra noi, a volte a fare la differenza è un nonnulla: ci sono Santi che si sono sbattuti tutta la vita e non li conosce nessuno, Santi che passavano di lì per caso e hanno santuari in tutto il mondo. Perché a fare la fortuna di un Santo sono elementi imponderabili, per esempio gli errori di trascrizione. Voi non avete idea di cosa possano combinare gli errori di trascrizione. Prendi Santa Cecilia: pale d’altare di Raffaello, canzoni di Simon & Garfunkel, insomma, una star. E cosa ha fatto per meritarsi tutto questo? Niente. Oddio, “niente”: ha pur sempre dato la vita per testimoniare il Vangelo durante le persecuzioni dei primi secoli. Ma come lei tanti altri martiri romani che non ci hanno lasciato altro che un nome, e che in mancanza di testimonianze circostanziate sono stati successivamente cancellati dai calendari. Cecilia invece è sopravvissuta, diventando addirittura patrona dei musicisti, che di Santi in paradiso avevano un disperato bisogno. Come ha fatto? Qual è stato il suo segreto? Un errore di trascrizione, appunto.
Sul serio. Non è tanto il romanzesco resoconto del suo martirio, che come molti del suo genere (le Passiones) è probabilmente da attribuire alla fantasia di monaci medievali reclusi che un migliaio d’anni prima di Sade si dilettavano in racconti di vergini scuoiate, vergini accecate coi tizzoni, vergini dai seni mozzati, vergini squartate e così via. Cecilia, tra le altre cose, viene decapitata per tre volte, ovvero per tre volte il boia ci prova e tzoong! la lama rimbalza, ma no, non è con trucchi del genere che si resiste sul calendario. Accade però che l’antifona della Messa in suo onore reciti: “Mentre gli strumenti venivano scaldati (candentibus organis), la vergine Cecilia in cuor suo pregava per il Signore soltanto, dicendo: fa’ sì o Signore che il mio cuore e il mio corpo restino immacolati affinché io non sia confusa”. Dal contesto dovremmo capire che “gli strumenti” (organis) che venivano scaldati sono quelli di tortura. Però si sa cosa succede ai testi delle canzoni, a furia di cantarle: perdono il loro senso. Così a un certo punto qualche pittore comincia a raffigurare Cecilia accanto a un organo. Nelle versioni più recenti, infatti, lo stesso inno non dice più candentibus organis (“strumenti incandescenti”), ma “cantantibus organis”: organi che suonano. E anche Cecilia in fondo “decantabat”, che può significare “recitava le preghiere”, ma più tardi anche “cantava”, insomma a un certo punto (fine medioevo?) la scena sadica di gusto tardoantico si trasforma in un provino musicale, gli organi suonano e Cecilia canta, oh Lord show me the way. Da lì a patrona della musica il passo è breve; se ti ritraggono sempre con una tastiera nei pressi, insomma, un motivo ci sarà. Saprai suonarla, o no? O almeno saprai cantare. È un po’ come la storia del maiale di Sant’Antonio Abate, che forse nei vecchi dipinti raffigurava il demonio tentatore nel deserto, ma in seguito è diventato sempre più un pacioso maialino padano, e alla fine il Santo si è ritrovato patrono degli animali da fattoria, che per un eremita del deserto egiziano è il colmo.
E Santa Cecilia? Di sicuro non ha mai neppure ascoltato un organo in vita sua. Magari era persino stonata, chi lo sa? Questo spiegherebbe alcune cose, ad esempio la sfiga dei musicisti. Tenete conto che nel paradiso cattolico ci sono delle autorità assolute in campo musicale: San Gregorio Magno (da cui “canto gregoriano”, non so se mi spiego), Sant’Ambrogio, Sant’Alfonso de’ Liguori, e ne dimentico senz’altro di importantissimi. Poi c’è questa Cecilia di cui non si sa quasi niente, fino al giorno in cui si scopre che l’hanno fatta patrona di tutta la musica, per un errore di trascrizione. E lei magari di musica non si era mai interessata, magari non sa distinguere un bemolle da un bequadro, magari voleva fare, che ne so, la parrucchiera, ma vallo a spiegare ai devoti. E ai pezzi grossi aureolati che hanno inventato il canto modale, oh, l’avranno senz’altro presa bene. Improvvisamente da Santa di serie B si ritrova sotto le luci della ribalta, destinataria di tutte le preghiere e lamentazioni di ogni musicista dell’occidente. Una cacofonia che farebbe impazzire un santo, ecco, appunto.
Cecilia è un po’ matta. Come cantano i maestri cantori Simon e Garfunkel: O Cecilia tu ci spezzi il cuore, ci fai perdere ogni giorno la fiducia in noi stessi. O Cecilia, siamo qui che ti chiediamo in ginocchio di tornare a casa.
Strofa: oggi pomeriggio ero nel mio letto con Cecilia (che facevo l’amore). Mi sono alzato per lavarmi la faccia… quando sono tornato c’era qualcun altro al mio posto.
Il dramma del compositore: la Musica è una santa capricciosa che certi giorni c’è, poi se ne va, poi torna (“Jubilation! She loves me again!“), ci fai l’amore per un pomeriggio, poi ti lavi la faccia e ti rendi conto che quella canzone che pensavi di aver concepito non è tua, è già di qualcun altro. È sempre stata di qualcun altro. Cecilia, perché ci spezzi il cuore così? Non potresti regalarci a tutti una melodia diversa? Perché ci hai dato solo sette note – dodici coi tasti neri? (“E che ne so io, deficienti, io non vi ho dato niente! io volevo fare la parrucchiera!”)
Forse Raffaello, l’apollineo Raffaello Sanzio, aveva capito tutto ritraendola mentre spacca tutti gli strumenti che si trova davanti, con gli occhi volti al cielo e cinquecento anni di anticipo su qualsiasi Pete Townshend. Viole, clarini, organi, basta! Gli storici dell’arte spiegano che nelle orecchie sta ascoltando l’unica vera musica, che è quella celeste; Guido Reni apprezzerà quegli occhi al cielo e ne farà il marchio di fabbrica dell’Estasi seicentesca, ma noi sappiamo la verità: Cecilia spacca tutto perché non ne può più, Cecilia vuole il Silenzio.
Nel 1599, durante i soliti lavori per il solito giubileo, un cardinale rinviene il suo corpo, “perfettamente conservato” come si dice in questi casi: poi di solito uno non fa in tempo ad andare a controllare di persona che il corpo si è già deteriorato. A quel punto il cardinale decide di sostituirlo con una copia in scala 1:1 in marmo della salma, una statua iper-realista, che riproduca i resti di Cecilia esattamente nella posizione in cui erano stati ritrovati. Siamo a fine Cinquecento: le pose studiate e artificiali del manierismo stanno per cedere il passo alle pose teatrali ed eloquenti del barocco. Nel bel mezzo di tutto questo il giovane Stefano Maderno scolpisce Santa Cecilia, che è semplicemente una ragazza distesa che non respira più, e soprattutto non ti guarda. Le mani rilassate ti dicono che è morta, il volto a terra ti dice che riposa. Sul collo una cicatrice incredibile, il capo è avvolto in un velo, ma l’orecchio spunta fuori. Cecilia ci ascolta, non può farne a meno. Anche se forse vorrebbe solo dormire.