La ricerca della felicità
Luciana Littizzetto ogni settimana termina il suo irresistibile intermezzo da Fabio Fazio raccontando della “notizia balenga” della settimana. Nella settimana che si è appena conclusa ne ho trovata una anche io (è apparsa su Repubblica di giovedì scorso a firma di Giuliano Foschini), ed è una notizia di quelle così “balenghe” che mentre le leggi non puoi fare a meno di stropicciarti gli occhi e di pizzicarti per verificare che non si tratti di un sogno. Brutto. Ci scherzo un po’ su perché mentre leggevo l’articolo mi pareva di vedere tutti i vizi dell’Italia che stiamo cercando di archiviare condensati in una sola pagina di giornale. Pigrizia, avversione al rischio, pessimismo, burocrazia.
Riepiloghiamo: a Barletta c’è un ragazzo bravo a scuola. Molto bravo. Così bravo, intelligente, determinato e motivato che a 17 anni è riuscito in qualche modo a convincere quelli del CERN a prenderlo per uno stage. Per poterci andare, Daniele Doronzo (così si chiama il nostro eroe) avrebbe dovuto e voluto fare gli esami di maturità con un anno di anticipo, alla fine del quarto anno di liceo. Ora: per poter essere ammesso a sostenere gli esami “saltando” l’ultimo anno, bisognava che concludesse l’anno precedente non solo la media dell’otto, ma con almeno otto in tutte le materie. Non un grande problema: il ragazzo aveva collezionato in tutti gli anni del liceo un rosario di otto e di nove, quindi anche tenendo il motore a filo di gas la cosa non sarebbe stata troppo complicata.
E invece la valutazione finale alla fine dello scorso anno scolastico è stata di tutti otto, sette in condotta (ma questo non fa media, per cui non sarebbe stato un problema: il ragazzo oltre che intelligente è evidentemente anche vivace) e – udite udite – di un ulteriore sette, in fisica. Proprio in fisica. Uno che a diciassette anni dichiara “La fisica è la mia vita” e viene considerato degno di uno stage dal CERN in quarta superiore, a Barletta pensano che valga sette e non otto e per questo gli chiudono le porte del più importante centro di ricerca d’Europa. Ripeto: un solo sette, e proprio in fisica, perché il messaggio non potesse essere in nessun modo equivocato. Non ti montare la testa ragazzino, dimentica la Svizzera e resta a fare la terza liceo come tutti i tuoi compagni di scuola.
Per spiegare la vicenda al cronista di Repubblica, la dirigente scolastica del Liceo Classico Casardi di Barletta ha detto una delle cose più orribili che io abbia sentito in vita mia: “Il compito della scuola, in Italia, non è quello di promuovere i geni. Ma di educarli.” Ora, se alla parola “geni” sostituiamo quella un po’ meno ambiziosa di “talenti”, sentiremo tutta l’enormità che sta dentro alle parole di una preside che dice che compito della scuola italiana non è promuovere le capacità e il merito, ma quello di insegnargli a calare la testa e a volare basso.
Sembrerebbe soltanto la storia di un gruppo di adulti stupidi, pigri e mediocri, che hanno probabilmente pensato di esorcizzare il ricordo dei propri sogni abbandonati per strada ammazzando quelli di chi non voleva in nessun modo rinunciarvi. Si è trattato invece, per quanto mi riguarda, anche di una grave mancanza professionale. Perché il compito non soltanto della scuola, ma anche di chiunque eserciti una responsabilità in questo paese, non è certamente quello di impallinare le ali di chi vuol provare a volare. Né quello di far passare l’idea che le pari opportunità consistano nel piallare le aspirazioni dei ragazzi, appiattendo tutti verso il basso in una mediocrità generale che non ha veramente nulla di aureo.
Non si sostiene chi resta indietro mettendo il guinzaglio a chi ha qualcosa di speciale. Questo vale sicuramente nella scuola, ma io penso si possa applicare a qualsiasi campo della vita: anche al mondo del lavoro e delle imprese. Premiare il merito non significa dimenticarsi di chi, pur mettendocela tutta, non ce la fa. Tutti i ragazzi hanno qualcosa di speciale, un dono, una passione, e il compito della scuola dovrebbe essere proprio quello di scovare questi talenti e di farli crescere e librarsi. Ogni persona che persegue il suo sogno e lo raggiunge e anche un modello per gli altri accanto a sé: chissà che in classe di Daniele non ci sia qualche grande chitarrista in erba, un pittore di capolavori, una sportiva da record, un regista da Oscar. Dopo aver visto il trattamento riservato al loro amico avranno probabilmente appeso al chiodo chitarra, pennelli, cronometri e macchina da presa, verrebbe da pensare.
Ma per fortuna anche questa storia ha un lieto fine: Daniele è negli Stati Uniti a prepararsi e darà la maturità quest’anno nella città di Trani, vicino a Barletta. Non è un lieto fine per la scuola italiana, purtroppo, ma Daniele al CERN ci andrà lo stesso. Nonostante il sette in fisica e la miopia di chi glielo ha dato.
PS: A proposito di registi e di sogni, la storia di Daniele mi è tornata in mente venerdì, quando Matteo Renzi ha mostrato questo spezzone del film di Gabriele Muccino “La ricerca della felicità” alla cena di finanziamento a Roma. Secondo me, un film che vale la pena di rivedere. Non soltanto a Barletta.