Cosa avremmo dovuto rispondere a Marchionne
Marchionne ha fatto le sue dichiarazioni e ha urtato la suscettibilità dell’intero paese. È il solito modo di vedere le cose per cui tutto è politica, e invece di rispondere alla prospettazione di un problema con una soluzione si procede col metodo per cui a una dichiarazione si risponde con un’altra dichiarazione, salvo lasciare tutto esattamente come prima. Addirittura Fini ha detto che Marchionne parla da canadese invece che da italiano, come se una grande azienda globale ragionasse sulla base della logica delle appartenenze nazionali.
Ora io dico: se il capo della principale azienda del paese dice che l’Italia è molto meno competitiva di altri mercati e che qui la Fiat agisce in perdita, una classe politica che si rispetti registra asetticamente il campanello d’allarme e prova a capire il perché. Dopidiché i vari schieramenti politici propongono le loro diverse ricette per cercare di proteggere l’occupazione e la produzione facendo dell’Italia (a livello di infrastrutture, servizi, fisco, efficenza della pubblica amministrazione, sicurezza contro la criminalità organizzata e sistema di relazioni industriali) un paese più competitivo – e non solo per la Fiat ma magari per altre imprese che sarebbero così invogliate a venire in Italia.
Invece cosa è successo qui da noi? Il campanello di allarme di Marchionne è rimasto totalmente inascoltato e si è passata l’intera giornata a recriminare sugli aiuti statali che la politica ha concesso a Fiat nel corso dei decenni, come se finanziare un’impresa privata e i suoi azionisti a carico dei contribuenti sia stata una cosa normale e giusta e non la madre di tutti gli errori. Facciamo un serio programma che renda l’Italia più semplice e attraente per le imprese e vedrete che i capitali e gli investimenti arriveranno anche da questa parte e, se il sistema paese sarà competitivo, sarà anche più semplice salvaguardare l’occupazione e i diritti dei lavoratori.